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Archivi mensili: Aprile 2018

Piani altitudinali: dove finisce il bosco…

Posted on 23 Aprile 2018 by Franco Gray Posted in Cuori selvaggi, Luoghi, Monografie, Storie .

Altitudine e vegetazione:  il piano montano

Altitudine, clima e vegetali

Altitudine e vegetazione alpina dai 1000 m slm

La fotoelaborazione illustra le piante che popolano i fianchi dei monti dalle zone boscate al piano alpino, dove agli alberi subentrano gli arbusti. Intorno ai mille metri le faggete sono interrotte dai prati- pascoli, spesso contornati dalle conifere (larici, abeti…) ma ben raramente si procede allo sfalcio dell’erba per farne foraggio. La neve scompare – di norma – verso il mese di aprile: la betulla prostrata ai margini del pascolo porta i segni dell’inclemenza del clima. I rododendri crescono tra i sorbi e le conifere, poi a quote superiori rimangono i fiori della montagna: a volte sbocciano protetti da lanugini come nel caso della stella alpina, spesso sono molto colorati per poter attirare gli insetti pronubi e riprodursi nel corso della breve stagione calda. Più in alto, i ginepri prostrati sfruttano il calore delle rocce. Lassù, le condizioni si fanno via via più difficili, ma la vita continua…

Sullo sfondo, il Monte Rosa, sulla destra un versante in parte boscato.

Il massiccio del Monte Rosa visto in inverno dalla zona di Riva Valdobbia (Foto: Franco Gray)

Inverno verso il piano montano

Inverno verso il limite superiore del bosco, dove le latifoglie cedono gradatamente  agli abeti ed ai larici. (Foto: Franco Gray)

Il piano montano comprende la fascia altitudinale che, dagli ultimi boschi, arriva al limite della vegetazione arborea.

Sulle Alpi  il bosco finisce nelle praterie naturali d’alta quota o – molto spesso – nei pascoli creati da più generazioni di montanari in ambienti già scarsamente alberati. Per arrivarci dobbiamo percorrere sentieri e mulattiere che,  fino a circa 1000 metri slm,  si snodano tra castagni, sorbi, betulle e faggi spesso misti ad abeti, larici, pino mugo e altre conifere; queste ultime, con l’aumento dell’altitudine, soppiantano le latifoglie e convivono con ontanelle e ginepri assumendo portamenti meno vigorosi. Il regno degli arbusti comincia intorno ai  2000 metri, con la prateria alpina.

Nel passagggio tra le diverse situazioni climatiche legate all’altitudine possiamo toccare con mano le strategie che piante ed animali mettono in atto per sopravvivere a una stagione del gelo che, nei luoghi in cui il bosco stenta a svilupparsi, dura oltre la metà dell’anno.

Alta val Sorba, 1400 m slm

Alta Val Sorba. Siamo ormai alla fine di giugno,  ma sui fianchi dei monte rimangono residui di neve. (Foto: Franco Gray)

Probabile dispensa - Alpeggio.

Alta Val Sorba: un manufatto d’alpeggio ricavato nei fianchi della montagna. (Foto: Franco Gray)

Alta Val Sorba, nella zona di Rassa,  Alpe Massucco. La valle mostra paesaggi plasmati dai ghiacciai del Quaternario e i segni della presenza umana: se le lingue di ghiaccio che scendevano verso il fondovalle hanno conferito un dolce profilo ai fianchi delle alture, la presenza umana ha condizionato lo sviluppo delle piante spontanee e degli animali selvatici. 

Oltre al pascolo, in queste zone si svolsero attività estrattive: si ritrovano infatti i resti di cave di marmo e di calce. La costruzione a lato serviva probabilmente per la stagionatura dei formaggi o per la conservazione delle derrate alimentari, ma è lecito ipotizzare che sia stata adibita anche alla conservazione degli esplosivi destinati alle cave…

 Un altro articolo illustra le peculiarità di un percorso della Val Sorba ricco di storia, di cultura montanara e di natura… 

Vai a Valle dei Tremendi

Tra natura e cultura – Non possiamo prendere in esame solamente  gli adattamenti stagionali all’ambiente delle piante e degli animali e i modellamenti avvenuti nel corso delle ere glaciali. Il paesaggio è stato infatti  plasmato anche dagli interventi delle popolazioni montane: questo articolo cercherà dunque di distinguere tra ciò che  stato prodotto dalle forze della natura e ciò che, invece, è stato condizionato dalla presenza umana.  

Fotocomposizione: verso il limite altitudinale del bosco

Dall’inverno alla stagione calda, vari aspetti del paesaggio nelle zone dove il bosco incontra  la zona degli arbusti, i pascoli, le praterie d’altitudine o le tundre alpine.(Foto: Franco Gray)

Foto in alto – Prima foto a sinistra: siamo ad Alagna, a gennaio; l’immagine mostra un altopiano scarsamente popolato da larici, le uniche conifere che in inverno perdono gli aghi.  La seconda foto (è estate e ci troviamo sul Monte Barone, in Valsessera) mostra  un larice disseccato, schiantato dagli agenti atmosferici. A lato, larici che vivono la breve estate alpina: ci troviamo in Valle d’Aosta a circa 1800 m di altitudine e, a causa delle forti nevicate, alcuni esemplari hanno assunto un portamento contorto. L’ultima foto è stata scattata sulle Alpi svizzere: tra le nebbie cariche di pioggia che annunciano la fine della stagione calda, si intravede un ripido versante ricoperto di conifere

 

Parnassius apollo

La Parnassius apollo, tipica farfalla di montagna presente sia sulle Alpi che sugli Appennini. (Foto: Serena Lombardi)

Tra ambiente naturale e ambiente culturale

Lungo i sentieri che portano al piano montano e alle praterie alpine – dicono i manuali – in un’ora si possono tranquillamente percorrere:
   300 – 350 metri di dislivello in salita
   400 – 450 metri di dislivello in discesa

Fotocomposizione con frassino potato e prato

Aspetto culturale del paesaggio – Frassino potato per utilizzarne le foglie come foraggio e prato da falciare. Siamo in Valle Vogna, sulla pista per la Frazione  Rabernardo (Foto: Franco Gray)


Se è vero che un discreto camminatore – in un’ora e su un sentiero di media difficoltà – riesce a percorrere più di 300 metri di dislivello in salita è altrettanto vero che chi si inerpica lungo i versanti montani per osservarne e documentarne la flora e la fauna molto spesso copre la stessa differenza di altitudine in ore ed ore di soste spese in appostamenti, silenziosi mimetismi, scambi di informazioni con persone per nulla preoccupate dell’orologio, dell’altimetria, della distanza da percorrere o della meta da raggiungere. In questo modo… il camminatore dal passo lento e dall’occhio puntato dappertutto (fuorché al luogo in cui posa i piedi) se non precipita in un burrone torna indietro con un fardello pieno di informazioni di tutti i generi e soprattutto con parecchi quesiti cui dare risposta.

Il primo interrogativo riguarda la differenza tra ciò che ha plasmato la natura e il tipo di intervento umano, ovvero la “cultura” che il genere umano ha lasciato sul paesaggio…

Parete rocciosa con vegetazione spontanea.

Aspetto naturale del paesaggio – Un torrentello precipita dalla parete verso il sottostante fiume Sesia; siamo nei pressi del Rifugio Pastore, nel Parco Naturale Alta Valsesia. La ripidità del versante non ha permesso interventi umani significativi e gli stessi animali domestici difficilmente vi pascoleranno. La parete è popolata da arbusti, rododendri in fiore, erbe e felci. (Foto: Franco Gray)

Fotocomposizione con laghetto naturale, camoscio e pecore.

Convivenza natura – cultura: camoscio in corsa su massi levigati dai ghiacci, invaso naturale e pecore che si destreggiano tra ripide pareti. (Foto: Franco Gray)

Dove finisce il bosco durante la stagione estiva molto spesso gli animali selvatici e gli animali domestici si spartiscono lo stesso ambiente. La presenza umana e le modifiche da essa operata – sebbene appena percepibili –  sono ancora presenti. La fotocomposizione mostra una prateria alpina non lontana da un modesto invaso. Siamo appena sopra il rifugio Vittorio Sella, in Valle d’Aosta. Raggiunta dalle attività umane, la montagna rivela il suo duplice aspetto: naturale e culturale. Il laghetto alpino e le rocce ricordano l’azione erosiva dei ghiacciai del quaternario, il camoscio è il risultato di una selezione naturale che lo ha reso adatto al particolare ambiente d’alta quota. Il discorso sulle pecore è invece totalmente diverso perché si tratta di una “manipolazione” operata dall’uomo, vecchia quanto la storia della domesticazione: in quest’ultimo caso siamo dunque di fronte a un prodotto culturale.

Il fattore umano

Stambecchi  e baita abbandonata. (Foto: Maria Bovio)

Stambecchi fotografati lungo il sentiero che porta all’Alpe Faller, nella zona dell’Alpe d’Makkalou. Una immagine emblematica perché mostra i tempi che cambiano: gli animali si stanno riappropriando dei luoghi dai quali furono cacciati. (Foto: Maria Bovio)

Nell’analizzare l’ambiente, dobbiamo ammettere che il fattore umano è fondamentale. Prima dell’avvento del turismo di massa, l’intervento delle popolazioni montane nei pascoli e nelle praterie alpine era spesso limitato al breve periodo dell’alpeggio, durante la stagione calda. Altre attività hanno però condizionato i delicati equilibri degli ecosistemi: di fatto, l’azione umana ha portato alla scomparsa – e in seguito alla successiva reintroduzione – di parecchi degli animali che si erano adattati al clima degli ultimi e stentati alberelli, degli arbusti e delle praterie d’altitudine.

Note

In Italia, gli Stambecchi furono a rischio d’estinzione: in effetti questi ungulati – meno diffidenti dei camosci  – sopravvissero e si moltiplicarono solo nella riserva di caccia di Vittorio Emanuele II, nei pressi di Ceresole. Nel 1862 la comunità di Ceresole aveva infatti donato al “re cacciatore” vasti terreni da utilizzare per scopi venatori e la casa reale li pose  ben presto sotto tutela.  Nel 1913 la riserva di caccia fu infine ceduta allo Stato e – nel 1922 – divenne Parco Nazionale del Gran Paradiso. Da lì provengono gli stambecchi che popolano il Parco Naturale Alta Valsesia e le varie vallate delle Alpi.

Prodotto naturale o prodotto culturale?

L’attenzione verso gli animali e la vegetazione, mentre aiuta a scoprire le differenze tra le piante cresciute spontaneamente e i rimboschimenti, permette altresì di interpretare il clima e la storia del territorio.  Come già si è accennato, i paesaggi che caratterizzano i versanti meno accessibili possono essere catalogati tra i “prodotti naturali”, figli legittimi dell’ambiente che li ha plasmati. Nelle forre, sulle cenge e a ridosso delle pareti più ripide siamo infatti quasi sicuri di incontrare piante autoctone, selezionate dal clima che devono affrontare e dal terreno in cui si sono radicate. Il resto – dal sentiero sul quale posiamo gli scarponi fino agli animali domestici che pascolano attorno alle malghe – rientra invece nella vasta sfera dei “prodotti culturali”: l’ambiente che attraversiamo è stato infatti manipolato dalla presenza più o meno discreta di quella parte di umanità che si è spinta fin verso le cime dei monti.

Alpe Larecchio tra i monti della Valsesia

L’Alpe Larecchio e il Colle di Valdobbia: un colpo d’occhio su uno dei luoghi della Valsesia dove natura e cultura si incontrano. (Foto: Paolo Champ)


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Tra gli ultimi boschi, il piano montano e le praterie d’altitudine: osservazioni, appunti, immagini…

 

Prati, pascoli e arbusteti

Ranghinatore abbinato a un motocoltivatore

Fienagione in montagna: un ranghinatore per voltare il fieno e raccoglierlo in andane. L’uso di macchine agricole di modeste dimensioni facilita il lavoro. (Foto: Sofia Lorenzini)

Argnaccia, giugno

Alpe Argnaccia, Valsesia. Un alpeggio con ampio prato-pascolo pianeggiante che giace sui fianchi della montagna

 

L’Alpe Argnaccia si trova a circa   1200 m slm   e si sviluppa su un pianoro  di origine glaciale: le baite ben ristrutturate e la presenza di attività agro-silvo-pastorali  fanno di quella località del Comune di Campertogno un esempio di integrazione tra attività umane e conservazione del paesaggio. Ciò che colpisce e suscita curiosità  è l’assenza di cavi elettrici aerei:  si scopre subito che sono infatti stati interrati per non disturbare la visione del paesaggio.  Le baite, un tempo abitate per lunghi periodi dell’anno dai valligiani, sono ora meta di vacanze estive, quando  sul pianoro pascolano  gli animali domestici  che, in inverno, tornano nelle stalle del fondovalle. Attualmente il pianoro è utilizzato come pascolo.

Ovini e caprini sul tetto di una casera

Pecore e capre sul tetto di una casera verso il Colle del Turlo (Foto di Vittorio Beltrame)

Rodendri, ginepri e arbusti - Alta Val Sorba

Alta Val Sorba, a circa 1400 m slm, presso l’Alpe Massucco. (Foto: Franco Gray)

Adattamento all’ambiente

Ermellino tra le rocce

Ermellino in abito estivo (Foto: Roberto Rolando)

Emellino inverno - Foto Celestino Vuillermoz

Ermellino in abito invernale. In inverno la pelliccia diventa bianca. Unica parte nera – sia in estate che in inverno – rimane l’estremità della coda: questo particolare lo differenzia dalle donnole. (Foto: Celestino Vuillermoz)

 

 

 L’Ermellino vive a quote comprese tra i 900 metri e il limite della vegetazione d’altitudine, verso gli ultimi boschi e oltre.  Frequenta i pascoli e le pietraie,  i ruderi  e persino le malghe disabitate. Predatore diurno e notturno, è però attivo soprattutto nelle ore calde della giornata. La stagione riproduttiva inizia in primavera, ma c’è la possibilità che la gestazione si protragga per lungo tempo:  il prodotto della fecondazione può infatti subire periodi di quiescenza e svilupparsi successivamente, nei momenti propizi per l’allevamento della prole.  Gli ermellini conducono vita solitaria, nidificano nel terreno e negli anfratti delle rocce.

A proposito dei rapporti di questo piccolo predatore con la popolazione umana,  sono ben note le sue  cacce notturne  nei pollai e nelle conigliere  delle malghe.

Si legge in Grzimek, “… i danni che gli Ermellini causano agli allevatori possono essere evitati costruendo delle stie inaccessibili: in tali casi essi possono addirittura rivelarsi molto utili in quanto imbattendosi in una tana di Topi o Ratti eliminano in breve tempo la maggioranza di tali dannosi Roditori […] che insegue persino a nuoto qualora la vittima cerchi scampo nell’acqua”.  (Da Grzimek, Vita degli Animali, Vol XII pag. 42 ed Bramante, 1973)

Gli usi della pelliccia di ermellino sono ben noti. La specie si è fatta molto rara ma, in alcune fortunate realtà, si assiste ad un lento e progressivo ripopolamento.

Lepre variabile in abito invernale (Foto: Emilio Ricci)

Lepre variabile in abito invernale. Durante la stagione calda il mantello è di colore marrone tendente al rossiccio. (Foto: Emilio Ricci)

 

 

 

 

Lepre variabile: un altro esempio di mimetismo stagionale

 

 

Con l’arrivo della stagione fredda la Lepre variabile cambia il colore della pelliccia: scuro in estate, il suo mantello divento bianco e folto in inverno. In questo modo la lepre di montagna riesce a mimetizzarsi  meglio ed evita di finire facile preda dei carnivori.

 

Se lepri variabili ed ermellini cambiano il colore del mantello per affrontare in sicurezza  i rigori dell’inverno e l’azione dei predatori, le marmotte  aspettano il tepore primaverile cadendo in letargo.

marmotta porta erbe nella tana (Foto: Franco Gray)

La breve estate alpina sta ormai volgendo al termine e la marmotta si prepara un caldo rifugio per l’inverno. (Foto: Franco Gray)

 

 

 Alla fine dell’estate le marmotte si rifugiano in profonde tane sotterranee, dove smaltiranno il grasso accumulato  nel corso della stagione calda.

La tana sarà resa confortevole da una calda imbottitura di erbe e di foglie: la foto è stata scattata già ad agosto, in una prateria alpina ai limiti della vegetazione arborea.


Fotocomposizione Tito Princisvalle - Aspetti alpeggi Valsesia

Alpeggi del piano montano   (foto: Tito Princisvalle)

Alpeggi e animali domestici

Aspetti del piano montano: siamo  nella fascia che precede il piano alpino vero e proprio.  A sinistra un cardo selvatico che fornisce cibo alle farfalle: grazie alle sue spine – vere e proprie difese naturali – è stato risparmiato dagli erbivori.  La foto è stata scattata nella zona di Campello Monti, all’Alpe  Scarpia a circa 1700 m slm.  Al centro siamo in Val Vogna, all’Alpe Buzzo (1700 m slm).  Le mucche al pascolo sono  le Highland: una razza di origine scozzesie che ben si adatta ai climi della montagna.  L’ultima foto a destra  arriva dall’Alpe Pioda, ancora  in Val Vogna e siamo ormai a circa 1800 metri di altitudine.

1800 m slm - Valle del Lampone

Fior di Stecco, Valle del Lampone (Foto: Tito Princisvalle)

Foto in alto:  siamo a Ca’ Siviere, nelle Valle del Lampone a 1800 metri di altitudine. In primo piano  una Daphne mezereum in piena fioritura.  Siamo ai primi di giugno, e il profumato “fior di stecco” – per quanto abbia capacità di autoimpollinazione – per riprodursi aspetta gli insetti della montagna.

La foto in basso è stata invece scattata nel mese di agosto all’Alpe Campo di Alagna e mostra il panorama valsesiano alle quote superiori ai 1900 metri.

Muli al pascolo,  Alpe Campo di Alagna

Alpe Campo di Alagna (Foto: Marco Giannotti Varese)

I grandi erbivori: Stambecchi e camosci…

Stambecco, toeletta tra i rododendri

Uno stambecco fa toeletta tra i rododendri (Foto: Vittorio Beltrame)

Camosci - Parco Nazionale dello Stelvio, inverno -

Camosci in un lariceto del Parco Nazionale dello Stevio (Foto: Emilio Ricci)

Produttori di cibo, consumatori, predatori

Quando qualcosa chiude il ciclo della vita, ciò che rimane viene utilizzato. Se è vero che nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma la foto costituisce la prova che in natura nulla viene sprecato, soprattutto dove e quando le condizioni di vita diventano difficili. Le piante producono cibo per tutti, dai piccoli fitofagi agli erbivori di notevoli dimensioni. I consumatori di piante  forniranno sostentamento ai predatori: dagli invertebrati ai grandi carnivori.  Ciò che rimane verrà infine decomposto dai funghi e dai batteri:  questo porta ad aprire un nuovo discorso, stavolta basato sulle catene alimentari.

Carcassa di stambecco con gracchi

Gracchi che banchettano sulla carcassa di uno stambecco. (Foto: Luca Giordano) www.lucagiordanophoto.com

 

Testi e impaginazione a cura di Daniela De Ambrosis ( Dani Ciamp) e Franco Bertola (Franco Gray)

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L’articolo potrà essere aggiornato e migliorato con nuove foto e con le vostre osservazioni. Questo primo lavoro è focalizzato sulla  fascia altitudinale alpina, in particolare sulle Alpi Occidentali. Si proseguirà con le alture degli Appennini e con altre località particolarmente interessanti.

Vai a  Catene alimentari

Prossimi articoli (pagine in costruzione)

Piano basale

Tra campi e risaie

Piani altitudinali: colline

Il piano alpino

Lassù, dopo il bosco e prima del cielo

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Avvertenza –   Il sito chiede sempre il permesso per le foto e gli eventuali testi che compaiono nei vari articoli – Tutto il materiale pubblicato  resta  di proprietà  degli autori e non potrà essere utilizzato senza la loro esplicita autorizzazione. 

 

Tags: Alpe Argnaccia, alpeggio, altitudine, camosci, conifere, cultura materiale, faggeta, lariceto, pascoli, piano montano, stambecchi .

Sant’Agostino: un lago, un libro

Posted on 4 Aprile 2018 by Franco Gray Posted in Libri scritti e da scrivere, Luoghi, Storie .

 

Falispe scoppiettanti

Cop. III pubbl. Gruppo "Le Falispe"

La copertina del terzo lavoro del Gruppo “Le Falispe”

 

 

Le Falispe: chi siamo

Con  “Lago di Sant’Agostino, streghe rospi e tesori” arriva  la terza pubblicazione del gruppo “Le Falispe”. Edito dall’Associazione Supervulcano della  Valsesia il libretto parla della magia che aleggia in quei luoghi.  L’invaso  – ricco di Storia e di storie –   giace tra  i monti che incorniciano il fiume Sesia, tra Quarona e Roccapietra.

Per saperne di più ecco uno dei link in cui questo stesso sito ha già affrontato l’argomento:

Il lago di Sant’Agostino: da ritrovo di rospi a sito di interesse comunitario

 

 

 

FOGLIA 100-x-75Testi di Daniela De Ambrosis (Dani Ciamp) e di Silvana Mazza

Consulenza, collaborazione e interventi di Alessandro Orsi e Marco Giardino – Foto di Franco Bertola (pen name: Franco Gray),  Carlo Pozzoni  e Mario Soster.  Disegni  di Michele Mancini e Giuliana Zanotti. Hanno collaborato Franco Cameroni, Giuseppe Gallo, Massimo Lacerenza, Giacomo Lorando, Tito Princisvalle, Gustavo Reale, Stefano Viola, Giuseppe Usellini

Stampa: Tipolitografia di Borgosesia s.a.s. (2017)

Scrive Alessandro Orsi  nell’Introduzione:

[…] esuberanti manifestazioni della natura, concreti segni della storia degli abitanti della Valsesia, fantasiose e inquietanti leggende. […]

Gli antichi abitanti di questi monti, i Celti, coltivarono un rapporto speciale, impregnato

del senso del sacro, con le forze primigenie della natura, depositando nei boschi

dolmen, menhir, coppelle rudimentali. Tracciarono una dislocazione sacra, località per

vivere e altre per guarire e quelle per lavorare e altre per sacrificare e altre per morire:

santuari anfiteatri nelle selve, torri castello, campi dei morti, speroni di roccia, mastelli

d’acqua oscura, borghi dove si incrociano le acque. Credevano che esseri occulti, dei e

demoni, elfi e gnomi, fate e streghe, maghi, alme beate o purganti, ramingassero nei

dintorni rivelandosi in circostanze e spazi particolari.

[…] Nel Basso Medioevo il laghetto tornò protagonista. I Comuni valsesiani lottavano per l’autonomia della valle e per amministrarsi con Statuti propri, ma cozzavano contro le smanie di dominio di signori e vescovi nonché dei Conti di Biandrate, probabili edificatori dei due castelli  sopra Roccapietra. A nord il castello dei Barbavara, famigerati feudatari dei Biandrate, venne distrutto dal popolo inferocito. L’altro, sopra il lago di Sant’Agostino, viene ricordato come castello d’Arian e ne restano tracce tenebrose quanto le ombre germinate dal lago.

[…] Quanti misteri in questo pentolone: druidi, coppelle, manieri, dolciniani, Barbavara, tesori nascosti, sorgenti sotterranee, streghe, presenze eteree tra roccia e acqua, a cui si aggiunge il bizzarro raduno dei rospi e il minaccioso movimento degli animali notturni. E mettiamoci pure qualche fosco episodio capitato nei paraggi negli ultimi secoli: lupi famelici, il patibolo dei giustiziati, scontri armati, le violenze di nazisti e fascisti, le esecuzioni sommarie. Qui può succedere di tutto tra realtà, fantasia, visioni oniriche. […]

 

Marco Giardino, in due pagine dense di informazioni, fornisce ragguagli sulle particolarità geologiche e geomorfologiche dei luoghi

[…] Le caratteristiche geologiche e geomorfologiche del paesaggio che circonda il lago sono molto particolari ed attraggono i ricercatori per i loro studi.

[…] Cominciamo osservando la valle che si percorre per salire verso il lago da Quarona. Questa… sì, la dobbiamo chiamare “vallecola”; le chiediamo scusa, ma dobbiamo farlo per poterla distinguere dalla valle principale, la Valsesia, molto più grande. E poi, diciamolo pure, la vallecola è molto strana: apparentemente non vi è alcun corso d’acqua sul fondo! Eppure, l’acqua ci deve essere da qualche parte… Infatti, quando piove molto, la vallecola si impaluda a tratti: è come se l’acqua risalisse piano piano dalle profondità […]

 I geologi hanno provato a dare una spiegazione a questi fatti. E le ipotesi che

hanno formulato ci portano al tempo delle glaciazioni. A quel tempo,

i versanti molto ripidi di questa vallecola furono modellati da un’antica lingua

laterale del grande ghiacciaio della Valsesia; si trattava di una piccola lingua

glaciale parallela a quella principale che transitava tra Roccapietra e Quarona.

Quando il ghiacciaio principale smise di alimentarla, la lingua minore si

ritirò, lasciando scoperte le rocce molto fratturate dei versanti della vallecola.

Col passare del tempo, questi versanti sono divenuti instabili: molte fratture

si sono progressivamente aperte e blocchi rocciosi sono caduti sul fondovalle,

talvolta sbarrandolo. Ancor oggi, l’acqua che dilava i versanti s’infiltra

in profondità tra le rocce e anche tra i sedimenti sul fondovalle,

emergendo solo in occasione di grandi piogge.


[…] avvicinandosi ad un grande blocco roccioso, si osserva una sorgente e si può ascoltare il gorgogliare dell’acqua in profondità! Una bella sorpresa… oppure una magia, una diavoleria? Forse qualcuno lo avrà pensato… perché il grande blocco roccioso si chiama “Saas di Strij” (Sasso delle Streghe) e la sorgente “Ava Corna”… facendo pensare all’intervento di qualche essere diabolico e cornuto per far sorgere l’acqua dal profondo. In realtà si tratta di una delle possibili prove che il lago di Sant’Agostino è collegato in profondità con il resto della valle. Ecco la spiegazione che darebbero i geologi: “persiste una circolazione idrica nel lago benché sia privo di immissari ed emissari”. Che tradotto per tutti significa: il lago viene alimentato dalle piogge e dalle acque che circolano sui versanti e poi, piano piano, l’acqua si infiltra fra i sedimenti, riaffiorando più in basso. […]

La magica avventura  di Michele

Il Racconto vede – in veste di protagonista – un bambino di nome Michele. Salito al lago insieme alla famiglia,  Michele incontra un rospo parlante: si tratta di Artemisia,  una strega buona vittima dei malefici della malvagia Genoveffa.  Tra le acque si aprono e si chiudono vari gorghi, vere e proprie finestre aperte sul passato. Mentre  Artemisia racconta le vicende di quanti ne popolarono le sponde il lago rivela ad un incantato Michele storie di battaglie, di tesori nascosti e di strane magie.

Qua e là il libro illustra  gli aspetti naturalistici,   il  folklore e le leggende che fanno di sant’Agostino,  il cosiddetto Lago dei “ciatri” (rospi) un luogo unico e misterioso.

Il libro è corredato di mappe.  Testi a cura di Daniela De Ambrosia Bertola e di Silvana Mazza, foto di Franco Bertola (pen name: Franco Gray),  Carlo Pozzoni  e Mario Soster.  Disegni  di Michele Mancini e Giuliana Zanotti. Hanno collaborato Franco Cameroni, Giuseppe Gallo, Massimo Lacerenza, Giacomo Lorando, Tito Princisvalle, Gustavo Reale, Stefano Viola, Giuseppe Usellini.

 

Strega con coppia di rospi

Ecco come ho immaginato una delle tante streghe del Lago di sant’Agostino. Si tratta di una rielaborazione, ben diversa dai disegni che corredano i vari testi. La strega qui presentata è vecchia ma non ha età perché figlia del tempo; probabilmente è pure malvagia, però non bisogna averne paura. Pare infatti che i malefici delle streghe colpiscano soltanto chi non ha coraggio. Per ora non ha nome, ma ne aspetta uno da chi legge quest’articolo. Email to: storienaturali@gmail.com

 

Tra Scienza, Storia e Fantasia: immagini…

Giovane allocco

Giovane allocco sui rami di un nocciolo.

 

 

STRIX-STREGA 

La parola Strega pare derivi dal latino Strix, termine usato per indicare un rapace notturno che vive nel misterioso buio. Secono alcune leggende popolari le civette, i gufi, gli  allocchi e i barbagianni sono simboli di morte o di sventura.

 

I dintorni  del lago sono popolati di vetusti castagni e di altri alberi cavi dove  possono nidificare agevolmente  i rapaci notturni. Nella foto un allocco che ha appena lasciato il nido: in questi casi  i giovani  sostano nelle vicinanze del luogo in cui sono nati,  in attesa di ricevere cibo dai genitori.   Tra gli altri animali che prediligono le cavità degli alberi  ricordiamo  i picchi e i ghiri.

 

 

 

panoramica della parte inferiore del lago di Sant'Agostino.

La parte inferiore del lago a settembre, quando pullula di insetti che vivono sia nell’acqua che sulle sponde. Sono visibili le ninfee galleggianti: in questa stagione, mostrano ancora i loro fiori bianchi.

Bombo su mentuccia.

Le sponde del lago profumano di menta, un bombo cerca polline e nettare tra i fiori. Con le piogge l’acqua aumenterà notevolmente di livello e sommergerà le piante che popolano le sponde.

Non solo  piante e animali: il libro parla anche dei castelli  della zona.  Sull’altura  che domina il lago tra il Poggio Pianale e il poggio Cerei rimangono le rovine dell’antico Castello di Arian. Sulle origini del nome di questo antico maniero si sono avanzate molte ipotesi: tra queste il libro cita la possibilità  di un antico insediamento di seguaci di Ario, un eretico aspramente combattuto da Sant’Agostino. La Storia, purtroppo, non ci ha ancora svelato tutti i suoi misteri…

Sopralluogo al castello di Arian

Tra i ruderi del Castello di Arian, quota 535 m s.l.m – Dopo i resti di un muro perimetrale del castello, la cisterna.

Oltre al Castello di Arian troviamo il famigerato castello di Santo Stefano o dei Barbavara. Per raggiungerlo occorre scendere a Roccapietra, superare il torrente Pascone e, lasciato l’abitato, seguire il sentiero ricco di reperti che raggiunge la sommità del monte. I resti del castello sono visibili anche dalla strada  provinciale, ma vale la pena affrontare la salita e arrivare a toccare con mano quelle pietre cariche di storia.

Disegno di Gustavo Reale:Castello di Santo Stefano, disegno di Gustavo Reale.

Disegno di Gustavo Reale che illustra l’aspetto del Castello di Santo Stefano durante il dominio dei Barbavara.

ruderi dell'arco di ingresso al castello dei Barbavara.

Ecco quanto rimane dell’arco di ingresso al castello di Santo Stefano, o dei Barbavara.

 

 

 

Il castello di Santo Stefano  fu fatto erigere dai conti di Biandrate: costoro  dominarono la Valle per circa trecento anni.  La rocca ebbe momenti di fortuna e momenti di sventura: distrutta una prima volta dai Valsesiani, fu ricostruita nel 1402 da Francesco Barbavara,  la cui famiglia dominò la Valle fino a quando la costruzione, nel 1415, venne definitivamente smantellata. 

Le figure che occuparono il Castello sono estremamente complesse e sfociano nella leggenda. Alcuni paesi della Valle vogliono infatti aggiudicarsi il merito della cacciata dei prepotenti dominatori ma, secondo altre visioni,  i Signori del  Castello furono  i lungimiranti  difensori della Valle…

 

Una leggenda che non trova riscontro

Si legge che a distruggere il castello fu un manipolo di coraggiosi che – nascosti in un carro di fieno – raggiunsero quel nido d’aquila per vendicare gli affronti subiti e – in particolare – per far cessare il famigerato “ius primae noctis”  che sarebbe stato imposto dal Signore.

La storia del carro  non regge perché, per raggiungere quell’isolata rocca,  occorre percorrere una stretta e ripida mulattiera, per nulla agibile dai carri.  Da rilevare poi che il  citato  “diritto della prima notte” non ha solidi fondamenti: dagli storici moderni è infatti ormai annoverato tra i falsi miti del Medioevo.

Ma la Storia, si sa, non finisce mai di stupire.

Vai a Pian Del Lago, un racconto tra natura e cultura

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Il libro citato all’inizio – “Streghe, Rospi  e Tesori” – illustra altre leggende e la ricerca sui racconti legati al territorio valsesiano continua – Chi volesse pubblicare qualcosa  in questo sito potrà inviare proposte,  immagini,  testi o documenti a:

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Aggiornamento – Dalla data di pubblicazione del presente articolo la zona dei resti del Castello di Santo Stefano (o dei Barbavara)  sono stati ripuliti  dai tronchi caduti e dalle piante infestanti. Una bella passeggiata da non perdere. 

Avvertenza –   Il sito chiede sempre il permesso per l’utilizzo delle foto e per la pubblicazione degli eventuali testi completi  che compaiono nei vari articoli – Tutto il materiale resta  di proprietà  degli autori e non potrà essere utilizzato senza la loro esplicita autorizzazione, ma sono gradite le condivisioni.

 

 

Tags: Barbavara, Castello di Santo Stefano, leggende, Quarona, Roccapietra, rospi, Sant'Agostino, streghe .

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