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Archivi mensili: Febbraio 2020

Fiori d’inverno, annunci di primavera

Posted on 19 Febbraio 2020 by Franco Gray Posted in Luoghi, Monografie, Storie .

Fiori d’inverno: sbocciano anche prima dell’ultima neve. A volte li troviamo  sotto le nevicate tardive; ne vengono sommersi ma… spesso ritornano.  I “Bucaneve”, gli Ellebori e i Crocus sbocciano per primi, con la loro comparsa arriva anche il ronzio degli insetti…

Fiori selvatici: sbocciano per primi  (Foto: Luisa De Savi)

Fiori d’inverno (Fotocomp. da foto di Luisa De Savi)

Foto in alto – A sinistra un Elleboro (Helleborus foetidus); seguono un Campanellino di primavera (Leucojum vernum) e un Anemone dei boschi (Hepatica nobilis). Troviamo poi un Eritronio, noto anche come Dente di cane (Erytronium dens-canis). Nell’ultima foto a destra: la Polmonaria (Pulmonaria officinalis). 

Gli ellebori

Tra i “fiori d’inverno” il più noto è forse l’Elleboro, conosciuto anche come  “Rosa di Natale”

Disegno di un elleboro in fiore

Elleboro (Disegno di Federica Giacobino)

A sinistra: pianta di Elleboro disegnata da Federica Giacobino

Vuoi per la sua bellezza, vuoi per la sua fioritura precoce, l’Elleboro è diventato una pianta coltivata. La manipolazione e la selezione delle piante portano a cambiamenti notevoli: di conseguenza,  rispetto alla specie selvatica,  l’aspetto degli ellebori coltivati è molto mutato e li possiamo ammirare sia come pianta da vaso  che da giardino.   Nelle varietà selezionate dai floricultori la pianta ha assunto diverse dimensioni e mostra colori dalle molte sfumature che spaziano tra il verde chiaro e il bianco delle corolle fiorite. Nell’osservare le foto che ritraggono gli ellebori allo stato selvatico si notano parecchie differenze a seconda della zona in cui sono stati rinvenuti:  riguardano i colori, le dimensioni e il portamento. Di conseguenza viene da pensare che queste piante – forse buttate al termine della fioritura –  siano rinselvatiche e abbiano colonizzato  picccole porzioni di territorio mantenendo, almeno in parte, i caratteri ricevuti durante la fase in cui erano coltivate. In effetti dalle mie parti gli ellebori selvatici sono abbastanza rari. Sul Monte Fenera il loro fiore è di color verde e la loro altezza non supera i trenta centimetri; qua e là sono però visibili, ai bordi dei sentieri che portano agli abitati, esemplari di Elleboro rinselvatichiti o ibridati. I tentativi di spiegare le differenti  tonalità e la provenienza di queste piante tanto “diverse” sino ad ora si sono esauriti in un nulla di fatto: di conseguenza non rimane che ammirarli così come li troviamo o… approfondire le nostre consoscenze sulla base della bibliografia più accreditata.

Lo stesso  discorso vale per altre specie quando la loro forma e il loro colore sembrano scostarsi dagli stereotipi cui siamo abituati: che si tratti di crocus, di primule  o di ellebori, lungo i sentieri  abbiamo spesso la possibilità di ammirare piante che, sfuggite alle coltivazioni e rinselvatichite, si sono  adattate a nuove condizioni di vita.

elleboro delle colline reggiane

Elleboro (Helleborus viridis)  – Colline reggiane (Foto: Gianni Bonini)

Primo sole

Campanellini di primavera

“Campanellino di primavera”, il noto Leucojum vernum (Foto: Franco Gray)

Sulle colline valsesiane  i “fiori d’inverno” che sbocciano per primi in genere sono i  Leucojum vernum della foto a lato. Sono noti come “Campanellini di primavera” anche se, a dispetto del nome, nella Bassa Valle fioriscono molto prima della metà di marzo. Li troviamo soprattutto lungo il corso dei ruscelli, nelle zone ombrose, umide  e ricche di humus. Dai bulbi sotterranei, a volte affioranti, spuntano foglie verde scuro  e lunghi steli fioriti; le piante sono spesso riunite in mazzetti. In genere i Campanellini compaiono un po’ prima dei crochi che colorano i prati e a volte i loro fiori finiscono sotto le ultime nevicate…

Crocus, ultima neve - Valsesia

Crocus presso Boccioleto – Valsesia (Foto: Massimo Gullotti)

I “fiori del gelo” spuntano ovviamente in tempi diversi a seconda dell’altitudine, della latitudine e del microclima locale. Con una breve carrellata su alcune delle specie più significative fotografate allo stato selvatico  sono qui di seguito illustrate piante cresciute tra radure, boschi e pascoli a quote e a latitudini diverse…

  La foto a lato (di Massimo Gullotti) è stata scattata in Valsesia nei pressi di Boccioleto, il paese che sorge in Val Sermenza a poco più di 650 metri sul livello del mare. Alla fine di un inverno piuttosto nevoso i crocus sbucano dal terreno e  fioriscono tra l’erba ancora disseccata dal gelo. Crescono in un luogo esposto al primo sole: sulle alture  e negli angoli ancora in ombra per lunghe ore la neve non si è sciolta completamente, ma presto i prati mostreranno le prime esplosioni di colore.  

Il genere  Crocus  comprende piante  bulbose appartenenti alla famiglia delle Iridacee.   I crochi sono frequenti nei prati e nei terreni ricchi di humus dei boschi di latifoglie, rifuggono i terreni acidi e li troviamo per lo più nei suoli basici o neutri. Le specie  sono molte e spesso la loro catalogazione è incerta. Ciò che è invece certo è che i crochi hanno  una certa somiglianza  con il colchico, pianta tossica di dimensioni maggiori che però fiorisce a settembre e che – a sua volta – potrebbe essere confusa con lo zafferano (il noto Crocus sativus), pianta coltivata.  I crochi sono piante perenni di vari colori che nei giardini si moltiplicano con una certa facilità.

Fioritura in Val D'Otro: crocus - Sullo sfondo il Tagliaferro (Foto: Franco Trova)

Valsesia – Fioritura di Crocus  in Val d’Otro, sullo sfondo il Tagliaferro (Foto: Franco Trova)

Piante tossiche e piante velenose – Vista l’importanza del tema e la pericolosità di alcune piante  l’argomento – sentiti gli esperti e trovate le immagini – sarà ripreso con i dovuti dettagli nei prossimi articoli.

I “Bucaneve”

Bucaneve  che sboccia tra la neve

Galanthus nivalis. I “Bucaneve” si apprestano a sbocciare tra la neve (Foto: Gianantonio Leoni)

Bucanece (Galathus nivalis)

Galanthus nivalis, il “Bucaneve” in piena fioritura (Foto: Annamaria Portalupi)

Dettagli dei fiori del "Bucaneve"

“Bucaneve”: i noti fiore del Galanthus nivalis fotografati nei dettagli (Foto: Luisa De Savi)

I “Bucaneve”, fiori dal nome appropriato. Li troviamo pronti a sbocciare già allo scioglimento della neve poi, con l’aumento della temperatura,  gli steli si allungano insieme alle foglie  e i petali si aprono…

Nella foto a lato: dettagli dei fiori. All’apice degli steli troviamo fiori bianchi caratterizzati da tre lunghi petali esterni e da altrettanti petali (tepali) interni più corti. Alla base troviamo l’ovario: si ingrosserà al termine della fioritura e formerà una capsula contenente i semi. La pianta si propagherà anche grazie alla moltiplicazione spontanea dei bulbi. 

I Bucaneve sono piante perenni presenti in parecchi boschi e coltivate nei giardini.  I loro bulbi si rinnovano e si moltiplicano facilmente e, di anno in anno, formano chiazze con foglie allungate e steli verdi. La loro presenza nei boschi non è costante: in alcune zone sono introvabili, sostituiti dagli altrettanto noti Campanellini. 

I Bucaneve crescono a quote comprese tra il livello del mare e il piano montano, il loro habitat ideale si trova a quote collinari  e diventano sempre più rari con l’aumento dell’altitudine. Nella bibliografia  consultata e in Acta Planctarum i Bucaneve sono dati per presenti nella quasi totalità della Penisola, ma in modo non costante. In “Flora della Valsesia” (Soster, Bibl. 1) la specie non è descritta ma ho individuato un insediamento in una località del Monte Fenera nei pressi del Torrente Magiaiga. Si tratta quasi certamente di esemplari sfuggiti alle coltivazioni e rinselvatichiti. 

Dopo la neve: radure e prati

Anemone nemorosa con dettaglio: fiore con sirfide

Anemone nemorosa. Nell’ingrandimento: un dittero (Fotoelaborazione: Franco Gray)

Primi fiori, primi insetti

Veronica persica e dittero

Veronica persica e – a destra – fiore di Veronica visitato da un Episyrphus balteatus, un Dittero della Famiglia Syrphidae  (Foto: Annamaria Portalupi)

Con i raggi tiepidi compaiono gli insetti che sono riusciti a passare l’inverno: tra questi le api mellifiche che compiono i cosiddetti “voli di puficazione”, le vespe che fonderanno nuove colonie, le farfalle, le mosche e  i sirfidi. Nella foto in alto una timida apparizione dei fiori azzurri della veronica (Vernica persica)  e, a destra, un dittero (Episyrphus balteatus)  in cerca di sostanze nutritive.  La vita di questo piccolo  Sirfide – noto per la sua capacità di fermarsi a mezz’aria  grazie alle sue  piccole ali – è ben descritta in Wikipedia…  

 Vai a    Episyrphus balteatus – Wikipedia

Nella foto sotto un altro “folletto dei boschi”:  una Macroglossum  stellatarum sorpresa mentre – ferma a mezz’aria – sugge il nettare dai fiori di una polmonaria.  La polmonaria (Pulmonaria officinalis)  fiorisce lungo i fossati: i suoi fiori appena sbocciati tendono al rosso pallido, poi  cambiano  gradatamente il colore e mostrano le sfumature dell’azzurro.

Pulmonaria e macroglossa  (Foto: Luisa De Savi)

La polmonaria e la macroglossa (Foto: Luisa De Savi)

Boschi: la poligala e l’erica

Polygala chamaebuxus - differenze nel colore

Poligale: differenze di colore (Foto: Franco Gray)

Erica in fiore (Foto: Franco Gray)

Erica in fiore (Foto: Franco Gray)

 Foto in alto: Poligale (Polygala chamaebuxus) in fiore –

Come mostrano le due foto in alto, la Poligola ha delle varianti: in alcune piante i fiori possono esssere bianchi, in altre i colori tendono invece al rosso-carminio; la parte centrale è giallastra con tonalità più o meno marcate con sfumature cariche di suggestioni. La fioritura avviene in tempi diversi, ma nelle zone collinari ben esposte al sole la pianta fiorisce già alla metà di febbraio (Prealpi). Presente soprattutto nell’Italia settentrionale, predilige i terreni asciutti e ghiaiosi. La troviamo ai lati dei sentieri,  in piccoli insediamenti profumati…

Nota: Una varietà color porpora di Poligala è catalogata come Polygonoides chamaebuxus.

A destra: Erica erbacea (Erica carnea) in fiore.

Siamo in presenza di una pianta bassa e strisciante che cresce spesso ai margini dei boschi, nelle radure o nei pressi di vecchie ceppaie. In genere l’erica ricopre modeste porzioni di terreno formando macchie colorate che, sin dai primi tepori, attirano gli insetti. Il fusto striscia sul terreno per sfruttarne il calore ed emettere nuove radici. Le foglie (aghiformi) alla ripresa mostrano ben presto un bel colore verde brillante, i fiori sono riuniti in grappoli alla sommità dei fusticini.

Altri fiori d’inverno

Violetta

Violetta sotto la prima pioggia (Foto: Serena Lombardi)

Note conclusive e buoni propositi…

In questa breve panoramica sono state omesse alcune specie note che tuttavia meritano attenzione: cito – a titolo  di esempio – le  Primulacee, il Farfaraccio, la Scilla bifolia e i Seneci. Ciò premesso, mi preme sottolineare che l’argomento “Primi fiori” sarà ripreso e continuerà a essere illustrato, sia pure calato in modo massiccio nelle diverse realtà locali, con riferimenti agli endemismi e alle specie protette.

Un esempio – La Valsesia inizia a circa 300 m di altitudine e possiamo farla finire  sui versanti del Monte Rosa.  Prendendo come punto di partenza la zona collinare e come ultimo riferimento i sentieri che si diramano dal Passo dei Salati (a circa 3000 mslm) troviamo  un dislivello di quasi 2700 metri, con tutte le variazioni climatiche che questo comporta.  I processi di adattamento delle piante e degli animali legati alle condizioni ambientali sono pressoché infiniti: sarà perciò interessante tentare  di  evidenziarne alcuni. Per farlo, sarà necessario abbandonare il criterio qui adottato  dei fiori che sbocciano quando – stando al calendario – si è ancora in inverno.

I prossimi articoli prenderanno spunti dall’altitudine, di conseguenza tratteranno di quelle piante che fioriscono con la scomparsa della neve. Sebbene si assista al noto fenomeno del riscaldamento globale, a quote montane il manto bianco si scioglie in primavera: in questo caso non si potrà più parlare di “fiori d’inverno”, ma di stagioni vegetative. 

Alcuni riferimenti alle piante  e agli ambienti che già sono state illustrati:

Peonie  – Vai a  Le delicate peonie della Valle dei Tremendi

Franco Gray (All’anagfe: Franco Bertola)

 

FOGLIA 100-x-75Note bibliografiche

1 – Mario Soster, Flora valsesiana – Ediz Blu, 2008

2 – Autori vari, Guida alle piante d’Italia e d’Europa – Touring Club Italiano, S.d.

3 – Sandro Pignatti, Flora d’Italia – Edagricole 1982 – Gli Ellebori sono descritti  nel Vol I a  pag. 279

Avvertenza –   Il sito chiede sempre il permesso per l’utilizzo delle foto e per la pubblicazione degli eventuali testi completi  che compaiono nei vari articoli – Tutto il materiale resta  di proprietà  degli autori e non potrà essere utilizzato senza la loro esplicita autorizzazione, ma sono gradite le condivisioni.

FOGLIA 100-x-75

 

Tags: fiori d'inverno .

Edera, alberi, animali…

Posted on 10 Febbraio 2020 by Franco Gray Posted in Diario, Monografie, Tesi e ricerche .

Edera e alberi: un abbraccio da scoprire –   L’edera porta fronde fertili che fioriscono in ottobre: in un periodo in cui  polline  e nettare scarseggiano, i suoi fiori sono invasi dalle api e  forniscono alimento a parecchi altri insetti.  I frutti che maturano in inverno sono provvidenziali per gli uccelli, le fronde sempreverdi offrono rifugio agli animali. Senza dubbio, l’edera svolge una importante funzione ecologica eppure – poiché abbraccia gli alberi – la sua crescita è spesso contrastata. Giusto? Sbagliato? 

Il quesito sulla gestione dell’edera che abbraccia gli alberi  viene da Valido Capodarca. L’autore di numerosi libri sugli alberi monumentali della Penisola verso la fine di ottobre dell’anno 2019 chiese – postato su Facebook – un parere sulla gestione dell’edera. I suoi scritti suscitano sempre parecchio interesse: anche in quell’occasione si aprirono diverse discussioni che sfociarono in differenti punti di vista. Niente di strano: l’esperienza personale in materia porta a proporre la soluzione che si ritiene migliore. Io parteggiai per l’edera lasciata allo stato selvatico, ma mi riferivo ai boschi e  devo riconoscere la validità e l’utilità di altri pareri, soprattutto quando si parla di spazi urbani aperti al pubblico, o di alberi monumentali…   

Edera Copre una grande quercia

Edera avvinghiata a una grande quercia. In alto tra le fonde: un volo di uccelli in cerca di bacche (Foto: Franco Gray)

 Foto in alto: edera avvinghiata – Siamo alla fine di gennaio e sulla grande quercia le bacche scure delle fronde fertili sono già mature: guardando attentamente la foto a lato si scorge uno svolazzare di uccelli che – per superare l’inverno, si stanno nutrendo di quella provvidenziale riserva di cibo. Sono i colombacci: si muovono in piccoli gruppi  e, al primo apparire di un possibile predatore, lasceranno la sommità dell’albero per spostarsi in punti meno esposti agli attacchi dei rapaci… 

Colombi selvatici , scorpacciate di bacche d'edera (Foto: Franco Gray)

Colombacci tra le fronde dell’edera carica di bacche (Foto: Franco Gray)

Bacche mature di edera - Gennaio (Foto: Franco Gray)

Inverno: le bacche mature di edera che finiranno in pasto agli uccelli  (Foto: Franco Gray)

 

Fotocomposizione in alto – A sinistra, un Colombaccio (colombo selvatico, Columba palumbus) guardingo tra le fronde di edera cariche di bacche mature.  A destra un colombaccio che approfitta dei frutti dell’edera: siamo a gennaio in un grande bosco planiziale e le bacche saranno consumate  per tutto l’inverno da altre specie di uccelli.  A marzo cadranno da sole e, nel frattempo, gli animali potranno approfittare di questa provvidenziale riserva di cibo.

Foto a lato: le bacche mature dell’edera. Gli uccelli che più le gradiscono, oltre ai già noti colombi, sono i merli e le capinere; questo stando alle mie personali osservazioni.

Dal punto di vista ambientale, la presenza di fiori e di bacche   è di grande aiuto non solo  per le specie suddette, ma per tutto l’ecosistema dei boschi. I fiori di ottobre attirano gli insetti e forniscono alimento prima dei rigori dell’inverno. Stagione in cui, come si leggerà più avanti, le foglie di edera sono molto appetite da alcuni erbivori.

Merlo mentre ingoia una bacca di edera (Foto: Franco Gray)

Merlo goloso al riparo tra le fronde (Foto: Franco Gray)

Dai fiori ai frutti: l’edera nelle catene alimentari- In natura, gli animali sfruttano le proprietà dell’edera a scopi alimentari e curativi.  Quando i rami dei grandi alberi schiantano al suolo le foglie di edera che li ricoprono diventano una leccornia per i caprioli: soprattutto in inverno e agli inizi di primavera le ripuliscono spesso in una sola notte. Le pecore che devono partorire compiono veri e propri esercizi di allungamento appoggiandosi ai tronchi e stirandosi fino all’inverosimile per raggiungere le fronde sempreverdi che, grazie alle radici avventizie, si abbarbicano saldamente ai tronchi degli alberi:  all’erba preferiscono esse pure le foglie dell’ edera  e le cercano con avidità, credo a scopo curativo. Tutte le parti della pianta, in effetti, contengono la cosiddetta “ederina”, una sostanza che – velenosa se usata in maniera non appropriata –  viene impiegata anche in fitoterapia e in cosmesi.

Capriolo

Giovane capriolo in una radura (Foto: Riccardo Camusso)

Foto in alto– Capriolo. Sul finire dell’inverno i caprioli cercano le foglie di edera. Una volta abbattei – anche per ragioni di sicurezza – un lungo e vecchio albero morto stracarico di fronde e lo lasciai al suolo per rimuoverlo nei giorni seguenti.  In breve tempo lo trovai completamente  spoglio: i caprioli avevano brucato tra i rametti di edera ripulendoli dalle foglie fino alle radici avventizie. Ben celate a poca distanza erano visibili le chiazze di terreno ripulito in cui avevano dormito. Tra i rami caduti al suolo c’erano – altro segnale  inequivocabile della loro presenza – i ciuffi di pelo che  stavano perdendo poiché l’inverno era ormai al termine…

La pianta

L’edera mostra una particolarità interessante: nei primi anni di vita produce radici avventizie per abbarbicarsi ai supporti e mostra foglie ben diverse da quelle che compariranno con l’emissione delle fronde fertili.  Dopo qualche anno, in condizioni favorevoli l’edera muta l’aspetto delle foglie di alcune fronde e queste – verso ottobre – si caricano di fiori cui seguiranno i frutti.  Sulle ali della fantasia la creatività popolare  definisce talvolta la parte sterile come “maschile” e associa le fronde fertili alla femminilità. Dal punto di vista strettamente scientifico tale associazione di idee è certamente errata, ma sul fronte della poesia e della narrativa  pare carica di suggestioni.

Fotocomposizione Edera - Fronda fertile, ape su fiore, fronda sterile

Edera – Fronda fertile, ape su fiore, fronda sterile (Foto: Franco Gray)

Ape e fiori di edera

Ottobre – Ape mellifica in volo verso i fiori di edera (Foto: Franco Gray)

In alto – La fotocomposizione in alto vuole evidenziare i diversi aspetti  presenti su una stessa pianta di edera. A sinistra: siamo in ottobre e le fronde fertili sono in fiore;  la fioritura è appena iniziata e sulle infiorescenze a ombrella appaiono i primi visitatori. Al centro un’ape mellifica: tra le zampe dell’insetto sono visibili gli stami, con i filamenti sormontati dalle  antere cariche di polline. A destra una giovane fronda sterile: le sue foglie trilobate si differenziano da quelle (ovali) delle fronde fertili.

Foto a destra – Ape in volo verso una ombrella di edera.  Nell’infiorescenza si notano i fiori già aperti e i boccioli che si schiuderanno in seguito. Gli organi riproduttivi sono ben visibili: tra gli stami si notano gli ovari che, fecondati, produrranno le bacche. L’ape in volo porta, attaccato alle zampe posteriori,  il polline raccolto in altre piante fiorite. Mentre completerà il carico disperderà parte del polline di cui si è sporcata durante le precedenti operazioni di raccolta: in questo modo favorirà la fecondazione incrociata e il conseguente rimescolamento genetico. Alla sfioritura si formeranno le bacche: inizialmente di color verdastro, matureranno con la metà di gennaio, quando assumeranno la tipica colorazione bluastra visibile nelle foto precedenti: diventeranno cibo per vari animali e daranno origine a nuove piante (v. nota 1). 

Tra i fiori

edera: ombrella in fiore con insetti (Foto: Franco Gray)

Insetti tra i fiori dell’edera (Foto: Franco Gray)

Formica tra fiori di edera (Foto: Franco Gray)

Formica tra i fiori dell’edera (Foto: Franco Gray)

Ottobre: insetti tra le ombrelle in fiore dell’edera…

La foto in alto  illustra il concetto ecologico noto come “commensalismo”: su una stessa ombrella sono infatti presenti senza mostrare situazioni conflittuali vari insetti. Si notano due ditteri (una mosca a sinistra, un sirfide a destra in alto).  Al centro troviamo un calabrone (Vespa crabro); in genere i calabroni si aggirano tra i fiori alla ricerca di prede vive, in questo caso il soggetto in questione pare però indaffarato   a procurarsi fonti di sostentamento di carattere vegetale.  In basso si intravede un coleottero: sta divorando  gli organi riproduttivi del fiore. 

Nella foto a destra una formica fortemente ingrandita. L’insetto si appoggia sugli organi che daranno le bacche e si destreggia tra gli stami e le antere per raccogliere  nettare, polline e secreti.

Le due foto vogliono evidenziare l’importanza dell’edera negli ambienti naturali. Siamo in ottobre, in zona Prealpi a circa 350 metri sul livello del mare e, mentre le altre fioriture già scarseggiano,  l’edera fiorisce tra i rami degli alberi e sui muri in cui si è abbarbicata. In questa stagione i suoi fiori forniscono alimenti non solo alle api mellifere che vi accorrono a frotte, ma anche alla miriade di insetti che si avvicendano tra le sue fronde. Indaffarati nella raccolta di sostanze nutritive,  i solerti raccoglitori in genere si lasciano osservare senza problemi…

Tra le fronde: protezione e predazione…

Ragni tra fronde di edera

Ragni tra le fronde: un ragno che vi ha mimetizzato il proprio ovisacco e un Tomiside  (Foto: Luigi Lenzini)

Foto in alto – A sinistra: un minuscolo ragno con il proprio ovisacco ben mimetizzato e al sicuro tra i boccioli fioriferi dell’edera. Secondo le informazioni fornite da Lugi Lenzini, il ragnetto vive da parassita “scroccone” dentro le ragnatele di altri ragni e il suo ovisacco somiglia (casualmente?) a un ovario di edera non fecondato. A destra, ragno appostato tra i fiori: siamo in presenza di un esemplare di Pistius truncatus, Fam. Tomisidae.

L’edera e il bosco

La gestione delle aree boscate vede possibilità che spaziano tra la soluzione “wilderness” e la selvicoltura. In attesa di tornare sull’argomento, in questo articolo mi soffermo solamente su alcuni dei rapporti che intercorrono tra l’edera,  le piante, i boschi in cui prospera e il resto dell’ambiente…

Ritorniamo all’edera che si abbarbica agli alberi: che fare?

Torniamo alla questione iniziale: edera sì, edera no. Il dibattito che emerge sulla gestione dell’edera oscilla tra le soluzioni di stampo naturalistico e le esigenze di quanti  coltivano alberi da reddito o si devono prendere cura di grandi alberi monumentali. Riducendo tutto all’essenziale: c’è chi la vede di buon occhio e chi – al contrario – deve necessariamente provvedere  alla sua eradicazione, anche per per ragioni economiche. In effetti l’edera ostacola i processi di fotosintesi e sulle piante da frutto… non è la benvenuta.    Detto in breve, scordarsi delle sue funzioni nell’ambiente allo stato naturale, impedirne lo sviluppo nei boschi solo per ottenere una crescita più rapida degli alberi da utilizzare a mio parere reca danno a tutto l’ecosistema-bosco. Affermo questo perché ho potuto osservare soluzioni interessanti e  funzionali, soprattutto in grandi aree a ridosso di alcune città dell’Europa Centrale dove – e sembra un miracolo – sono presenti e contigue aree che potremmo definire “selvagge”, coltivazioni di alberi da frutto, piste ciclabili, sentieri e grandi alberi ricoperti delle fronde di edera. Qua e là spiccano grandi tronchi: alcuni sono lasciati in loco, altri giacciono al suolo a decomporsi per fornire humus e  tane per i selvatici,  siano essi autoctoni o alloctoni. Un discorso – quello di questi luoghi felici – che illustrerò più avanti e che probabilmente richiederà più di un articolo.  

  Cinciallegra tra le radici avventizie dell'edera

Cinciallegra  tra le radici avventizie dell’edera che la ancorano saldamente al tronco di un albero di medie dimensioni. Riguardo alla cincia, c’è da osservare che stava cercando le uova che alcuni insetti avevano deposto tra le fronde (Foto: Franco Gray)

L’edera, usanze e credenze

Una credenza abbastanza diffusa voleva che, nella casa in cui fosse lasciata crescere l’edera sui muri… le culle sarebbero  rimaste vuote: evidentemente la fantasia popolare associava i vecchi edifici decrepiti con la fine della discendenza.  In questo caso i concetti di causa e di effetto erano stravolti: l’edera cresce quando gli edifici rimangono privi di manutenzione e – sebbene si dice fosse usata come abortivo – con la sterilità ha ben poco da spartire. Un’altra usanza la vedeva però felice protagonista nei matrimoni di un tempo, soprattutto in alcuni remoti borghi di campagna. In mancanza di fiori e in nome del risparmio si usava decorare l’atrio della sposa con fasci di edera raccolta a costo zero nei boschi. Si diceva che la pianta avrebbe portato a unioni fedeli e durature. In tutto ciò si intuisce un’unica certezza: il risparmio sugli addobbi e… in merito alla fedeltà delle coppie di un tempo indaga tuttora la sociologia. Dai matrimoni alla tomba: molte corone funerarie erano intrecciate con fasci di edera, e in qualche caso lo sono ancora…

Note 1 – Secondo alcuni autori i semi  di edera che passano indenni  nell’intestino  degli animali  germinano meglio – (Ricordi, notizia senza fonte documentabile)  

Bibliografia 

Sandro Pignatti, Flora d’Italia, Edagricole – Vol II pag. 108

Franco Gray (All’anagrafe: Franco Bertola)

FOGLIA 100-x-75

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Tags: castello di San Lorenzo, edera .

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