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Archivi mensili: Maggio 2013

Il torrente Magiaiga: cava Colombino e gli inglesi

Posted on 17 Maggio 2013 by Franco Gray Posted in Luoghi, Storie .

 

 

Schizzo

Una proposta per risalire il corso del torrente Magiaiga. (Da un disegno dell’Ente Parco del Monte Fenera)

Dalla strada per la Frazione Ara a “Cava Colombino”

Ponte della Ferrovia e strada per Ara

L’imbocco della carrozzabile che, tra Grignasco e Borgosesia, porta alla Frazione Ara. (Foto: Franco Gray)

La risalita del torrente Magiaiga per la località “Cave Colombino”  inizia sulla carrozzabile che da Grignasco raggiunge  Borgosesia, nel punto in cui la strada che  porta alla frazione Ara passa sotto il ponte della ferrovia. Oltre la costruzione – nota come “Molino Jannetti” – una comoda pista di terra  battuta costeggia per un breve tratto la sponda destra del torrente, poi lo scavalca.  Superato a piedi il ponticello, si raggiunge la Cava Colombino, uno dei siti da cui si estraevano le rocce carbonatiche del Monte Fenera.

Aspetti della località Mulino Jannetti.

 Primi di maggio. Aspetti della località Molino Jannetti. A sinistra il ponte della ferrovia che, mentre supera il torrente Magiaiga, incrocia i binari della linea vecchia ferrata che, un tempo, portava il pietrisco ricavato da Cava Colombino alla stazione ferroviaria di Grignasco. Al centro un particolare dell’ex opificio, ora destinato ad uffici. A destra il ponticello che attraversa il torrente e porta alle vecchie cave… (Foto: Franco Gray)

Foto d'epoca della località "Molino Jannetti"

Una foto d’epoca. In primo piano a sinistra il “Molino Jannetti”: è visibile una macina in pietra addossata alla parete. Subito dopo, un tratto della ferrovia che tuttora da Grignasco porta a Varallo. Sullo sfondo il “Ponte della Ferrovia” che, dalla Cartiera di Serravalle, valicando il fiume Sesia raggiungeva la stazione di Grignasco: vi transitavano i vagoni carichi di carta. Il ponte andò distrutto durante una alluvione nel novembre del 1968.

 

Il Fenera e  le attività estrattive

Lavoro alla cava Antoniotti

Testimonianze delle attività estrattive del passato sui fianchi del Monte Fenera: la Cava Antoniotti

Minatore e scouts

Un gruppo di scouts in visita ad una cava. La foto risale ai primi anni del Dopoguerra.

 

Costruzioni abbandonata alla Cava Colombino

Inverno 2013. Sponda sinistra del torrente Magiaiga, le tramogge di carico della Cava Colombino ormai invase dalla vegetazione pioniera (Foto: Franco Gray)

Durante l’ultima guerra…

Durante l’ultima guerra le  sponde del torrente Magiaga – e in particolare le località Mulino Jannetti  e Cava Colombino  – videro storie che meritano di essere ricordate: tra queste l’avventura  di un gruppo di prigionieri delle Forze Alleate, tutti di lingua inglese. Ecco una sintetica cronologia degli eventi.

Tra il 10 ed il 12 giugno 1943 giunsero da Alessandria 50 prigionieri di guerra inglesi. Alloggiati al mulino Jannetti, furono mandati  a lavorare nella cava Colombino. La loro mansione principale era quella di caricare di pietrisco  i vagoncini di un trenino Decauville: erano sorvegliati da un tenente, da un sergente, da  un caporale e da 22 soldati italiani. Le sorti della guerra volgevano però a favore degli Alleati, per cui l’otto settembre di quello stesso anno il governo italiano “ riconosciuta l’impossibilità di continuare  l’impari  lotta”  chiedeva   l’Armistizio e ordinava la cessazione delle ostilità contro le Forze Anglo-americane. La notizia della firma dell’Armistizio per Grignasco fu un giorno di festa: la popolazione era convinta che la guerra fosse finalmente finita.

La realtà fu ben diversa. Immediatamente iniziò da parte delle forze armate tedesche l’occupazione degli obbiettivi militari e civili con requisizioni,  arresti,  deportazioni e fucilazioni. L’esercito italiano, lasciato senza disposizioni operative, rapidamente si dissolse. Dove fu possibile i militari sbandati furono aiutati dalla popolazione civile, ma per gli altri ci fu l’internamento nei Lager. Per gli inglesi che lavoravano alla Cava Colombino il pericolo di essere catturati e deportati si faceva di ora in ora sempre più reale, tanto che anche i militari italiani addetti alla loro custodia si affrettarono a prendere contatto con Il CLN di Grignasco.  L’atmosfera si fece ancora più inquieta non appena si seppe che le armate tedesche stavano entrando in Borgomanero: era necessario evacuare i prigionieri prima che cadessero nelle mani degli ex-alleati! Il comandante del campo convocò Emilio Geddo, un antifascista: questi, per  nasconderli, li trasferì nella Frazione  Colma di Valduggia. Lì, l’11 settembre un carabiniere portò un messaggio del comandante di reggimento che ordinava ai soldati italiani di lasciare liberi i prigionieri, di riconsegnare le armi e di sciogliere il reparto.  Così venne fatto, ma sugli ex prigionieri inglesi pesava ancora  più forte il rischio di finire nelle mani dei tedeschi.

Aldo De Paulis – detto Maniscal –  aveva lavorato come locomotorista del trenino Decauville alla Cava Colombino ed era legato da sincera amicizia agli ex prigionieri. Per aiutarli il 19 settembre si recò a Castagnola, Rasco ed Arlezze. In quelle sperdute frazioni  ritrovò alcuni degli  inglesi e, insieme ad essi, si rifugiò in un rustico di proprietà di Augusto e Anna Margaroli.

Verso la metà di ottobre, per salvare i fuggitivi,  il De Paulis organizzò la prima avventurosa traversata verso la Svizzera. Con due degli ex-prigionieri si portò prima a Varallo, poi ad Alagna. Attraverso la Grand Alt, il Col d’Olen, la Capanna Gniffetti, il Colle del Lys e il Ghiacciaio del Grenz raggiunse Zermatt, finalmente in salvo. L’impresa fu ripetuta cinque o sei volte e, in questo modo, con l’aiuto del coraggioso Maniscal almeno dodici inglesi raggiunsero le sicure frontiere svizzere. In queste azioni Aldo De Paulis metteva  a repentaglio la propria vita e, di conseguenza, si meritò una segnalazione per una decorazione con medaglia d’argento.

Fotocomposizione

La popolazione solidarizza con gli inglesi e Aldo De Paulis abbraccia due ex-prigionieri. A destra un documento del Supremo Comando Alleato che esprime gratitudine ed apprezzamento per l’aiuto fornito ai militari del Commonwealth.

Le gesta di Aldo De Paulis non furono un fatto isolato. Altri ex prigionieri appartenti alle Forze Alleate raggiunsero infatti la Svizzera attraverso la Valle d’Ossola grazie alla complicità dei ferrovieri che riuscirono a farli salire clandestinamente sul treno nella stazione di Bettole. Sulle vicende  degli inglesi ci sarebbero infatti molti altri episodi ancora da raccontare…

Il sentiero degli inglesi (Englishmen track)

I luoghi del Monte Fenera in cui gli inglesi si rifugiarono sono ripercorribili attraverso il “Sentiero degli Inglesi”. Il tracciato si snoda nei comuni di Grignasco, Valduggia e Borgosesia: partendo dalla stazione di Grignasco,  vi fa ritorno dopo aver toccato i nuclei  frazionali di Ara, Colma, Maretti, Castagnola, Rasco, Fenera San Giulio, Fenera Annunziata, Cascina Cesare. La lunghezza è di cira 25 km. Il filo conduttore del percorso è documentato nel libro di Giorgio Nascimbene dal titolo “Prigionieri di Guerra”, un esempio di altruismo da riportare alla memoria soprattutto perché  generosità e solidarietà erano rivolte al “nemico”.

Pagina a cura di Tito Princisvalle – Impaginazione: Franco Gray

Bibliografia – Giorgio Nascimbene, Prigionieri di guerra. L’anabasi dei prigionieri alleati che nel 1943 fecero parte dei campi di lavoro nelle risaie vercellesi e dintorni, Villata, Società operaia di mutuo soccorso, 2004.

 

 Vai a Monte Fenera

 

Tags: 8 settembre 1943, cava Colombino, cave, CLN, Commonwealth, frazione Ara, giardino delle grotte, Giorgio Nascimbene, II guerra mondiale, Monte Fenera, Parco del Monte Fenera, prigionieri di guerra, prigionieri inglesi, torrente Magiaiga, trenino Decauville .

Racconti inediti – Kain…

Posted on 10 Maggio 2013 by Franco Gray Posted in Diario, Libri scritti e da scrivere, Luoghi .

 

Immagine  con titolo

 

 

  

Questa  è la storia di Kain, un  cane da pastore che nell’Agosto del 1975 trovò il corpo del suo padrone in fondo a un burrone. Giovanni Allegra, pastore noto nell’Alta Valsesia, allora 46enne,  fu così seppellito  nel cimitero di Agnona, a Borgosesia. Il coraggioso Kain rimase per un certo periodo  presso l’abitazione della sorella del suo padrone, in seguito scomparve misteriosamente.

  

La scelta di adottare nella narrazione il punto di vista del cane vuole essere uno spunto di riflessione per invitare tutti noi a considerare quanto possa essere fondamentale l’amicizia di un animale per un uomo. Ritengo che in qualche modo Kain abbia infatti salvato il suo padrone permettendogli, se pur nel più triste dei modi, di ricongiungersi ai suoi cari.

 

 

 Sara Olivieri

 

 Per tutta la vita sono stato un cane da pastore. Seguire il mio padrone tra i monti è stata la mia unica ragione di vita.  Mi basta chiudere gli occhi un istante per rivedere i prati verdi, per risentire la carezza del vento sulla schiena, il profumo dei fiori freschi. La vita del pastore è molto pesante: la giornata inizia prima dell’alba ed è piena di sacrifici. Nonostante le difficoltà ho amato immensamente le notti trascorse sotto le stelle a vegliare sul mio padrone che dormiva. Il nostro legame era impareggiabile: sorvegliando il bestiame, abbiamo affrontato insieme inverni rigidi ed estati fresche. In paese gli altri pastori non perdevano l’occasione per elogiare il mio padrone per i miei servigi. Qualcuno arrivò persino a chiedergli di vendermi: “Mai” rispondeva Giuvanett, e il mio cuore di cane si gonfiava d’orgoglio. Il mio padrone si fidava ciecamente di me ed io ne ero così fiero che sarei stato disposto a tutto pur di non deluderlo. Quando ero lasciato solo con il bestiame, sapevo esattamente cosa dovevo fare e quali erano i miei doveri: ero stato addestrato fin da cucciolo a fare il pastore. Credevo, nell’ingenuità di un servo fedele, che non avrei mai potuto smettere di essere felice, che io ed il mio amato padrone saremmo invecchiati insieme e che avremmo trascorso l’ultimo dei nostri giorni tra i monti seduti l’uno accanto all’altro sull’erba, come sempre. I miei calcoli però si sono rivelati decisamente errati.

   Era una bella mattina d’agosto del 1975 e come d’abitudine mi trovavo  in un alpeggio dell’Alta Valsesia, ma qualcosa nell’aria mi trasmetteva una sensazione d’angoscia. Il vento era diverso dal solito: soffiando sembrava sussurrare un lugubre canto; qualcosa di funesto stava per accadere, il mio intuito di cane mi suggeriva di restare all’erta. Le pecore  pascolavano giulive e inconsapevoli come sempre ma il mio padrone non era al mio fianco.  Il tempo passava, il sole brillava ormai alto sopra di me ma stranamente non riuscivo a sentire il suo calore. Era come se la strana inquietudine che provavo avesse fermato il mondo. Mentre attendevo il Giuvanett, tutto mi appariva gelido ed immobile, poi l’impazienza mi assalì: non potevo più aspettare, sapevo che il mio padrone sarebbe stato deluso di vedermi abbandonare il gregge ma non potevo non andare a cercarlo. Il cuore mi batteva forte, sentivo una forza oscura opprimermi dentro. La mia natura di cane, il mio istinto stava prendendo il sopravvento su ciò che ero stato addestrato a fare. Ombre scure mi annebbiavano la vista, immagini di morte raffreddavano il mio spirito impaziente. “è troppo tardi!” pensai “ma per cosa?” Presi un sentiero diverso dal solito, come se qualcuno mi invitasse ad andare in quella direzione. Conoscevo quella strada, nessun angolo di quelle montagne mi era sconosciuto, ma soltanto trovandomi davanti ad un pendio scosceso che realizzai effettivamente dove mi trovavo. “No, non può essere qui! Non prende mai questa strada” continuavo a ripetermi. Il mio istinto, come una calamita, mi attirò verso l’orlo di un precipizio: “Perché?” continuavo a chiedermi. Mi affacciai. Un brivido d’orrore mi attraversò la schiena e iniziai a tremare abbaiando disperatamente. Il mio amato padrone giaceva immobile sul fondo del burrone. La mia voce cercava invano di raggiungerlo per invitarlo a muoversi. Era tutto inutile.

    Iniziai a correre per la montagna come se le forze di tutti i venti del mondo si fossero sommate dentro di me per farmi volare in paese: era la forza della disperazione. In un baleno raggiunsi il villaggio. Le persone mi guardavano, mi chiamavano “ehi, Kain!” io abbaiavo disperato ma non riuscivo a farmi capire. “… è il cane del Giuvanett, deve essere accaduto qualcosa” disse infine il garzone del mio padrone. Un poco confortato per essere riuscito a trovare qualcuno in grado di comprendere lo stato di assoluta emergenza che cercavo di esprimere per mezzo dei miei guaiti, condussi il garzone e altri due uomini fino nel punto in cui avevo trovato il mio caro compagno. La reazione degli uomini fu, per ciò che potei comprendere, molto simile alla mia; erano “sconcertati”. Sconcertato, pensai, è così che si dice quando si prova quello strano brivido che mi aveva percorso la schiena. I cani e gli uomini hanno diverse cose in comune, gli occhi di quei tre esseri umani lasciavano intravvedere un velo di dolore che doveva essere lo stesso che si vedeva ne miei. Il garzone del mio padrone corse in paese a cercare aiuto, arrivarono i soccorsi, i resti del mio povero padrone furono tirati fuori dal burrone e depositati proprio davanti a me. Giuvanett aveva gli occhi chiusi, il volto pallido e totalmente privo di espressione; strane macchie sparse su tutto il corpo lo rendevano quasi irriconoscibile.  Gli leccai dolcemente il viso com’ero solito fare ogni mattina ma fu con orrore che percepii il gelo che il suo corpo emanava. La sua mano non si mosse per accarezzarmi amorevolmente come sempre: era tesa, immobile come pietra. “è morto ormai da diverse ore” disse un uomo. Ma non era così, non per me! Il mio amato padrone non era morto, amava la montagna e aveva deciso di diventarne parte, il suo corpo rigido lo dimostrava. Doveva essere così, era certamente stato il suo spirito a chiamarmi perché lo ritrovassi. So cosa pensate, sto farneticando, forse avete ragione, ma vi prego, siate indulgenti con i pensieri di un povero cane che in pochi attimi, forse a causa di una scivolata, ha perso tutto ciò che aveva. Il mio mondo fatto di sole, di pioggia, di prati, di greggi e delle affettuose carezze del mio padrone   è precipitato con lui in quel burrone ma il ricordo di tutto questo vive ancora dentro di me.

   Per tutta la vita sono stato un cane da pastore. Ora, anche se la mia casa non è più sui monti, tra gli animali, io so di essere ancora un pastore. Quand’ero un cucciolo Giuvanett mi insegnò a custodire il gregge, mi disse che ero il guardiano delle pecore: oggi sono il guardiano dei ricordi   e li voglio tramandare.

Kain

 Il racconto assume un particolare valore per l’autrice: Sara Olivieri è infatti nipote di Elsa Allegra, la sorella del “Giuvanet”. La donna per prima vide in Kain “il guardiano delle sue memorie”.  

Vai a  Cru-Acc, il corvo da guardia

Vai a Carlo Alberto, la Grisa e Lucifero

Vai a  Jaku, storia di un allocco rubato

Tags: Agnona, Kain, prati, racconti di montagna .
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