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Archivi mensili: Settembre 2020

Gamberi nostrani e della Louisiana

Posted on 22 Settembre 2020 by Franco Gray Posted in Cuori selvaggi, Diario, Luoghi, Monografie, Storie, Tesi e ricerche .

Questo articolo parla dei gamberi d’acqua dolce.  La definizione “gambero di fiume” o “gambero d’acqua dolce” – per quanto generica – è stata adottata per  non scendere nei dettagli delle varie specie recentemente catalogate grazie anche alla comparazione del DNA.  Tra i competitori dei gamberi “nostrani”  troviamo però le specie che – arrivate da altri Continenti – ne riducono la consistenza numerica…

Fotocomposizione con gambero comune  e ambiente  (Foto: Franco Gray)

Gambero d’acqua dolce e l’ambiente in cui vive (Foto: Franco Gray)

Nella fotocomposizione in alto: una tranquilla resorgiva a poca distanza dal fiume. Siamo in un bosco di pianura del Vercellese e l’acqua che scorre tra gli alberi sgorgando dal sottosuolo – limpida, fresca d’estate e poco fredda d’inverno – costituisce un ambiente ideale per il gambero “nostrano” visibile nell’inserto ovale…

IL GAMBERO D’ACQUA DOLCE

Disegno: gambero d'acqua dolce

Gambero (Disegno di Tiziano Bozio Madé)

Acqua pulita e non troppo fredda – La “macchina da guerra” della foto a lato si muove di notte e prospera nelle acque che – neppure in inverno – scendono sotto i sedici gradi centigradi: il gelo, in effetti, diventa fattore limitante per la diffusione della specie. Di conseguenza troviamo i gamberi nelle resorgive e nei ruscelli delle colline ed è molto difficile invece scovarli nei torrentelli del piano montano gelidi d’inverno, spesso poveri di larve acquatiche cacciabili, privi di vegetazione sommersa e soggetti a forti variazioni della loro portata.

Una corazzata per cacciare e per raccogliere – Il gambero di fiume è protetto da un duro esoscheletro scuro che tuttavia si “ammorbidisce” nel periodo delle mute di accrescimento (nota 1). Le chele sono adatte sia alla cattura che alla raccolta: in effetti i gamberi  si nutrono anche di detriti vegetali e di animali morti. Per vivere necessitano di un rifugio sicuro in cui ripararsi durante il giorno: lo trovano tra le radici affondate nell’acqua o sotto i sassi. Questo spiega la presenza delle “trappole per gamberi” che – in anni giovanili – mi capitò di trovare nelle lanche: in pratica erano costituite da un fascio di legnetti con all’interno un pezzo di carne. I malcapitati crostacei, attratti dal comodo riparo con ricca dispensa… vi si insediavano ben volentieri. E all’ingegnoso bracconiere bastava tirare a sé la corda che tratteneva la fascina, prenderne gli ospiti e metterli nel sacco.

Riproduzione – Le femmine del gambero d’acqua dolce portano le uova  attaccate alla parte inferiore dell’addome (Vedi foto). Il loro numero è da mettere in relazione con la taglia della madre: la schiusa avviene in estate e gli individui di dimensioni maggiore sono i più prolifici. La cura della prole continua nei primi stadi di vita: i gamberi in effetti compiono le  mute iniziali sotto la protezione materna. L’accrescimento è lento e si verifica con mute periodiche che – vista la perdita di durezza della corazza protettiva – aumentano i rischi di predazione. Il raggiungimento dell’età riproduttiva anche in condizioni ottimali supera abbondantemente l’anno; il tempo necessario dipende anche dalla disponibilità di cibo e dalla temperatura dell’acqua.

Fattori limitanti – Oltre alle predazioni, alle malattie e agli altri fattori negativi lo sviluppo della specie trova un serio ostacolo nella concorrenza alimentare  e nell’azione predatoria  messe in atto dagli organismi che popolano gli stessi ambienti, in particolare dalle specie alloctone…

Ruscelli, canali e lanche… l’ambiente ideale per i gamberi

Ruscello pedemontano

Ruscello tra i boschi (Foto: Franco Gray)

Gli ambienti d’acqua qui di seguito elencati  attualmente sono  spesse volte privi di gamberi eppure… nel rammentare  i racconti dei “raccoglitori”, degli esploratori e dei naturalisti di una volta… tali ambienti d’acqua, di radici e di sassi furono ben popolati e – frugando tra i ricordi – mi tornano alla mente le “aragoste dei poveri” che – intraprendenti ragazzotti figli di un tempo ormai lontano – utilizzavamo per fare qualche spaghettata. La raccolta dei gamberi ai tempi magri della mia prima giovinezza era tollerata, così come la cattura dei pesci nei canali messi in asciutta per riparazioni o, nelle risaie,  poco prima della mietitura. Altri tempi, altre usanze: il link li ricorda e – documenti alla mano – riporta pure le sanzioni messe in atto contro il bracconaggio. Tra i raccoglitori vigeva però una regola ferrea: divieto assoluto di raccolta delle femmine con uova. Nonostante tale imperativo morale il gambero d’acqua dolce autoctono è in diminuzione un po’ ovunque: i motivi che hanno portato alla rarefazione o addirittura alla scomparsa della specie sono ben noti e vanno dalla raccolta indiscriminata alla distruzione degli habitat e agli avvelenamenti delle acque. Come se tutto ciò non bastasse si affacciano nuovi problemi: dall’America è arrivato un gambero che entra in concorrenza feroce con la specie autoctona, è il  Procambarus clarkii, meglio noto come  “Gambero rosso della Louisiana” di cui  si tratterà nell’ultimo paragrafo…

Un ripopolamento ben  riuscito – Storia di un ruscello che era rimasto senza gamberi –  Un ruscello sperduto tra i boschi:  acqua pulita popolata da larve di ogni genere… però non c’erano né pesci né gamberi. Ero un ragazzo, la cosa mi incuriosiva e mi chiedevo il perché di quelle assenze: mio padre diceva che era “acqua ferruginosa”   e che, di conseguenza, non c’erano i soliti pesci (sanguinerole, vaironi, cavedani e trotelle)  che trovavo in altri ruscelli. Io ci andavo spesso: quel rio tra i boschi che si faceva largo tra le  rocce mi affascinava. Un bel giorno d’agosto di non so quanti anni fa, ormai adulto,  ero su quelle sponde per fare delle foto quando sentii le voci di due ragazzini.  Risalivano il corso del ruscello con un secchiello in mano e, per vedere che stessero facendo,  andai loro incontro. Nel recipiente c’erano tre gamberi; di essi, due avevano le uova ben attaccate nella parte inferiore dell’addome e – rannicchiati in posizione di difesa – le coprivano con il ventaglio caudale, ovvero con la parte terminale del corpo che si vede nell’illustrazione in alto. Cadute le diffidenze, fatte le dovute presentazioni e i necessari chiarimenti, i due mi spiegarono che quei gamberi arrivavano da un canale messo in secca: finiti all’asciutto,   i miseri crostacei avrebbero concluso la loro esistenza in una padella, o nel becco di qualche cornacchia.  Di conseguenza… quei bravi e volenterosi figlioli avevano deciso di salvarli liberandoli proprio in quel ruscello sperduto. Ne fui felice e, per vedere gli sviluppi di quell’esperimento,  tacqui sulla qualità di quelle acque: “… vedremo come andrà a finire”, pensai. 

Anni dopo, tornato al ruscello notai la sabbia ben pulita nei pressi dei tratti di sponda riparati da grosse radici e attorno ad alcuni massi: segno evidente che nell’acqua qualcosa si muoveva uscendo dalle tane. Sollevato un sasso piatto vi trovai un gamberetto rannicchiato: il ripopolamento aveva funzionato! Ora – e la storia è arrivata ormai ai giorni nostri – quel luogo è ben popolato di grossi gamberi d’acqua dolce e di pesci che vi portai io prelevandoli dalle pozze che, negli altri corsi d’acqua, andavano in secca. Non è una fiaba: è la realtà.

Gambero con uova (Foto: Franco Gray)

Ruscelli dell’Alto Piemonte, circa 400 m slm – Gambero autoctono con uova (Foto: Franco Gray)

La storia appena raccontata merita un momento di riflessione… In quel ruscello che scorre tra le colline il tratto terminale è sbarrato da una sorta di massicciata anti-erosione che forma una cascata di circa due metri di altezza. Più su, l’acqua precipita tra gole profonde con salti anche notevoli. Viste le condizioni ambientali e le manomissioni operate a valle  si può facilmente dedurre che la composizione chimica dell’acqua conta poco, che  i gamberi e i pesci  c’erano e che scomparvero  per predazioni eccessive dovute agli animali o ai raccoglitori umani. Lo sbarramento fece il resto e il ruscello – chissà quando – restò senza crostacei e senza pesci…

Quando i canali, le rogge e le risaie vengono messi in secca… i loro abitanti vengono spesso salvati dalle padelle, dai becchi degli uccelli e dalle fauci dei loro predatori dai volontari che li prelevano e che li trasportano in acque sicure. Ciò premesso, faccio tesoro dell’esperienza appena raccontata e mi balza alla mente la possibilità di ripopolare gli sperduti ruscelli che – tranquilli e puliti – scorrono tra i boschi: in effetti vi si potrebbero introdurre i gamberi autoctoni salvati dai corsi d’acqua messi in asciutta…

Un ripopolamento con gamberi autoctoni comporta dei rischi e non deve essere confuso con le immissioni di specie ittiche che avvengono in parecchi corsi d’acqua e persino nei laghetti alpini. Gli obiettivi consistono infatti nel favorire il ritorno di crostacei sempre più rari e a rischio di scomparsa in quei corsi d’acqua dove un tempo erano presenti…

Vaironi in un ruscello

I piccoli vaironi che vivono nello stesso ambiente dei gamberi (Foto: Franco Gray)

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Alloctoni: Il gambero della Louisiana

Gambero della Louisiana (Foto: Bruno Beretta)

Gambero della Louisiana (Foto: Bruno Beretta)

Il gambero alloctono arrivato dalla Louisiana (Procambarus clarkii, vedi foto a lato) è uno spietato concorrente delle specie che da sempre popolano i corsi d’acqua: nella zona di cui tratto non è presente e di conseguenza ne parlo sulla base di fonti – attendibili – di seconda mano. Come ogni specie “nuova” arrivata in un ambiente che aveva trovato una sorta di equilibrio crea scompiglio e giustificati allarmismi. Tuttavia – e riferisco in base  alle  prove fotografiche più avanti riportate e ad altri inconfutabili documenti – gli animali che frequentano le sponde hanno imparato a predarlo. Di conseguenza l’impatto ambientale della specie dovrebbe essere attenuato. Resta il fatto della sua estrema adattabilità: sopporta le acque calde e inquinate, si sposta per brevi tratti anche sul terreno asciutto raggiungendo le lanche tranquille e di conseguenza  colonizza anche gli habitat dei gamberi autoctoni. Va da sé che – vista  la forte concorrenza alimentare e la predazione – la specie americana crea non pochi problemi alle parecchie forme di vita che trova nel suo cammino…

Oltre al Procambarus clarkii in alcune zone è presente l’Orconectes limosus, un gambero originario dalla coste del Nord America, immesso per fini alimentari in alcuni bacini e nei fiumi. Il discorso potrebbe poi proseguire citando le specie importate a scopo amatoriale e sfuggite  dagli acquari o deliberatamente liberate, ma sarà affrontato successivamente, in altri articoli...

Documenti – Un predatore in azione…

Poiana e gambero killer (Foto: Alfredo Della Nina)

Una poiana con la preda. Il rapace adocchia e preda un gambero della Louisiana (Foto: Alfredo Della Nina)

Gambero della Louisiana (Foto: Alfredo Dalla Nina)

Gambero della Louisiana (Foto: Alfredo Dalla Nina)

Le foto mostrano una poiana e la sua funzione predatoria nei confronti di un Gambero della Louisiana. La poiana – uccello rapace ma molto adattabile per quanto riguarda la dieta – ha riconosciuto ben presto nel gambero alloctono una fonte alimentare. Poiché i gamberi d’acqua dolce autoctoni si muovono solo con il favore delle tenebre la presenza del rapace non costituisce certo un pericolo…

Foto a sinistra – Procambarus clarkii,  il noto Gambero killer conosciuto anche come Gambero della Louisiana mentre affiora  dall’acqua.

  Com’è noto, quando una nuova specie arriva in un ambiente  a lei favorevole e non trova competitori… si sviluppa enormemente creando seri problemi. In effetti molto spesso le specie predatrici già presenti non riconoscono i nuovi arrivati come possibili prede, con conseguente sviluppo abnorme degli alloctoni.  Gli esempi sono molteplici e vanno dal Cinipede galligeno che ha danneggiato i castagni fino all’introduzione del suo antagonista, il Torymus sinensis.  Altro caso inquietante fu l’arrivo della cosiddetta “Piralide del Bosso”, ovvero della Cydalima perspectalis, cui è stato dedicato un articolo con immagini di predazione da parte delle Vespe autoctone. Le specie invasive subiscono processi di adattamento, provocano reazioni in quelle già presenti e, in genere,  vengono presto riconosciute e predate ma sono documentati casi in cui succede l’esatto contrario: si pensi, ad esempio, alla limaccia rossa che si trova ormai anche a quote elevate e che potrebbe sostituirsi alle lumache senza guscio autoctone. Il fenomeno in qualche caso potrebbe essere ineludibile, ma quando una specie scompare si scrive una pagina triste  sulla perdita di biodiversità.

Vai a Catene Alimentari

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Note conclusive

Il ripopolamento: una soluzione per la salvaguardia e la diffusione del gambero di fiume? 

Interventi sì, ma con cautela – A conclusione di questo articolo introduttivo si rende necessario inserire qualche nota sui ripopolamenti  con gamberi autoctoni dei corsi d’acqua dove un tempo questi erano presenti. I soggetti “salvati” dalle messe in secca dei canali e dei laghetti vanno accuratamente controllati e catalogati: per la fauna legata all’acqua (in particolare rane, salamandre e insetti) sarebbe veramente problematico se – al posto degli autoctoni –  si introducessero specie alloctone e voraci. In secondo luogo occorrerà tenere presente l’ambiente di provenienza e quello di destinazione: un gambero acclimatato  alle condizioni ambientali in cui è stato prelevato non si adatterà certo  a situazioni del tutto diverse. 

Nota 1 – Il processo con cui i Crostacei per crescere si liberano dal vecchio involucro è ben descritto il Grizmek, Vita degli Animali,   Vol I pag. 509  (Bramante Editrice)

L’argomento continua e – sia pure in maniera episodica – sarà sviluppato  in una pagina dedicata ai crostacei d’acqua dolce…

Franco Gray (All’angarfe: Franco Bertola)

 

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 Avvertenza – Il sito chiede sempre ai vari autori il permesso di utilizzare le loro foto o i loro testi. Tutto il materiale pubblicato  resta  proprietà degli  autori e non potrà essere utilizzato da terze persone senza la loro esplicita autorizzazione, ma sono gradite le condivisioni. Le eventuali citazioni dovranno essere corredate dall’indirizzo del sito.

Tags: crostacei, gambero d'acqua dolce, lanche, torrenti .

Api mellifere: tra arnie e vita selvaggia

Posted on 1 Settembre 2020 by Franco Gray Posted in Monografie, Storie, Tesi e ricerche .

 

 

Fotocomposizione con api (Foto: Franco Gray)

Api al lavoro (Fotocomp. Franco Gray)

La fotocomposizione in alto introduce alla vita delle api (Apis mellifera L.)e al loro lavoro di raccoglitrici e impollinatrici.  A sinistra: siamo in primavera e l’ape operaia sta bottinando sui fiori della robinia: tornerà all’alveare carica di nettare che sarà trasformato in miele profumato e di colore chiaro. Al centro: siamo in estate e l’ape cerca acqua tra il muschio umido di una fontana. A destra un’ape si dirige verso l’edera in fiore: si va ormai verso l’autunno, le fioriture scarseggiano e sulle zampe dell’insetto le cestelle sono cariche di polline destinato all’alimentazione della covata. Con l’arrivo del freddo le api resteranno nei loro ripari: passeranno l’inverno consumando le scorte accumulate o – nel caso degli alveari domestici – nutrendosi del poco miele rimasto nelle arnie e delle sostanze zuccherine fornite dagli apicultori…  

Api domestiche e api selvatiche 

Questo articolo vuole porre l’attenzione sul quelle colonie di api che, lasciate le arnie, si sono adattate alla vita selvatica. Da anni ormai le api domestiche necessitano di cure contro i parassiti, in particolare contro la Varroa (Varroa destructor), un acaro arrivato da lontano. Oltre alla Varroa, gli apicultori devono fare i conti con le altre avversità che danneggiano gli alveari e senza i loro interventi… le api domestiche produrrebbero ben poco miele o farebbero una brutta fine…

Il link fornisce ragguagli in merito al parassita noto come Varroa destructor  e al suo ciclo vitale <https://it.wikipedia.org/wiki/Varroa_destructor>  

Camola del miele in un alveare domestico (Foto: Sergio Bressan)

Camola del miele in un alveare domestico: siamo in presenza delle larve della Galleria mellonella (Foto: Sergio Bressan)

 Con l’arrivo delle Varroa è stato necessario modificare l’assetto stesso delle arnie: il fondo delle casse è stato infatti sostituito da una reticella sotto la quale un recipiente contenente un liquido oleoso dovrebbe invischiare gli ospiti indesiderati. Un altro pericolo per le arnie domestiche viene da una farfalla nota come “Camola del miele“, si tratta della nota Galleria mellonella che – quando la colonia è debole – riesce a penetrare nelle arnie e vi deposita le proprie uova: da queste nascono bruchi capaci di devastare le celle cerose piene di miele. L’elenco dei “nemici delle api” potrebbe continuare a lungo: senza le cure dell’apicultore le colonie domestiche sarebbero condannate a una triste fine.

Alla luce di quanto premesso è arrivato il momento di parlare delle rare colonie di api mellifere che vivono allo stato selvatico… 

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In campagna: le api rinselvatichite

Api rinselvatichite (Foto: Luigi Lenzini)

Un favo costruito all’aperto (Foto: Luigi Lenzini)

Tra i boschi e gli insediamenti umani possiamo imbatterci in colonie di api che hanno lasciato le arnie e si sono insediate in ricoveri di fortuna: cavità naturali e nicchie dei muri sono diventate  la loro nuova dimora. A volte queste colonie non sopravvivono al freddo dell’inverno e alla mancanza di cure ma, in altri rari casi,  possiamo invece incontrare insediamenti  che, presenti da anni nelle stesse cavità, già ai primi di febbraio escono dal nido e riprendono a bottinare. Il loro andirivieni è il segno evidente che hanno passano l’inverno senza problemi: siamo dunque in presenza di api rinselvatichite che sono tornate a vita autonoma con successo. 

Api rinselvatichite in volo verso il nido (Foto: Franco Gray)

Api domestiche  rinselvatichite (Foto: Franco Gray)

Foto a lato: Api (Apis mellifera) cariche di polline in volo verso il nido: vivono allo stato selvatico all’interno di un vecchio ciliegio. In primavera spesse volte le api domestiche approfittando della distrazione degli apicultori sciamano verso nuovi territori: lo fanno riempiendosi di miele al seguito di una regina. Le possiamo trovare in grandi sciami che si posano ovunque, spesso creando allarmismi. In questo caso in genere  interviene un apicultore esperto che, raccolto lo sciame mediante l’attrezzatura idonea, lo porta nel proprio alveare. In qualche altro caso però  le api riescono a trovare un luogo adatto in cui costruire i favi e fondare una nuova colonia, per cui da “domestiche” diventano “selvatiche” o – se si preferisce – rinselvatichiscono. La nuova dimora, come già evidenziato,  può essere un vecchio albero cavo, un riparo sotto roccia, un angolo di casolare  o l’interno di una muraglia. Non più curata dall’apicultore, la colonia deve cavarsela da sola e superare tutte le avversità ambientali che la nuova situazione comporta. In qualche caso ci riesce…

Le api rinselvatichite sono ormai una rarità. La loro presenza significa che – portatrici di un patrimonio genetico prezioso –  hanno sviluppato “qualcosa” che consente loro di sopravvivere  in piena autosufficienza sia ai parassiti che ai fattori limitanti dovuti alle avversità atmosferiche. Siamo quindi di fronte a un fatto rassicurante che sta a testimoniare come la natura stessa abbia saputo creare ceppi di Apis mellifera che meritano attenzione e protezione…

Una storia di ordinaria resilienza: le api del vecchio muro –  Una vecchia costruzione ormai abbandonata, una crepa nei muri e, all’interno di quella che un tempo era una casa di abitazione, una colonia di api (Apis mellifera) che si faceva i fatti suoi. L’ho osservata per anni: la storia di quella colonia dovrebbe servire a far intuire che in natura si verificano adattamenti sui quali sarebbe bene non interferire…   

 Nelle arnie domestiche, la Varroa creava seri problemi e, mentre gli apicultori ricorrevano a vari interventi per contenerne i danni, le api allo stato selvatico che – ormai da anni –  si erano insediate nella cavità del vecchio muro prosperavano senza problemi.  Ai primi di febbraio, con la fioritura del nocciolo, già si notava l’andirivieni delle operaie che rientravano con le zampette cariche di polline: scaricato il bottino, sfidavano il freddo e tornavano nel sole a cercare i primi fiori.  Con il naso all’insù mi chiedevo come se la fossero cavata e la risposta era una sola: evidentemente quella colonia aveva sviluppato risorse “naturali” basate su un processo di adattamento alla vita selvatica e ai parassiti. A maggio a volte l’andirivieni si faceva frenetico: era del tutto evidente che, in quella postazione,  era nata una nuova regina che si preparava a sciamare verso nuovi siti per fondare altre colonie…

Api tra le pietre e le piante di un vecchio muro (Fotoc. Franco Gray)

Api (Fotocomp: Franco Gray)

Quando il sentiero adiacente il vecchio muro – un tempo poco frequentato –  divenne meta di passeggiate le cose cambiarono. Qualcuno, notando l’andirivieni di api indaffarate, ne decretò la fine: avrebbero potuto pungere qualche indifeso passante. I regolatori della natura sono sempre molto attivi e i loro allarmi non lasciano indifferenti però… per rimuovere quella “pericolosa” colonia,  fortunatamente non si fece ricorso ai noti spruzzi di veleno,  ma a un apicultore. Questi, dopo aver piazzato una piccola arnia portatile, si appropriò di gran parte dello sciame e se lo portò nel proprio alveare, certo di poterne ricavare regine resistenti alle malattie. Ad operazione ultimata, la cavità fu chiusa perché mai più potessero insediarsi insetti ronzanti allo stato  libero. Le cose però non andarono secondo le previsioni: il nido tornò ad animarsi. Non so come tutto ciò sia successo: probabilmente nel vecchio muro la regina continuò a fare il suo lavoro e le operaie riconquistarono la libertà rimuovendo l’otturazione. Ma può anche darsi che – dopo quell’intervento – un altro sciame vagante abbia trovato alloggio nella cavità. 

La storia e le osservazioni qui riportate sono riferite alla realtà delle zona collinare dell’Alto Piemonte – La narrazione vuole suscitare un momento di riflessione sulla pretesa del genere umano di regolare il mondo della natura: per quanto ci si dia da fare,  la lunga storia dell’evoluzione continua. C’è da sperare che le api (Apis mellifera) rinselvatichite riescano a fondare nuove colonie resistenti ai parassiti: vivranno producendo le scorte di miele che consentiranno loro di passare l’inverno e impollinando piante in fiore. In questo modo anche gli esseri umani beneficeranno di “qualcosa” di prezioso in più, senza costi aggiuntivi…

Prato, arnie con melari. Siamo in piena produzione (Foto: Franco Gray)

Arnie in piena produzione (Foto: Franco Gray)

  Foto in alto – Alto Piemonte, zona pedemontana. Siamo in un prato ricco di fiori: sulle arnie domestiche son ben visibili i melari in cui le solerti api operaie accumulano quanto raccolgono e lo trasformano in miele. Nella zona le prime massicce produzioni avvengono bottinando tra i fiori della robinia, poi le api continueranno a raccogliere alimenti  tra i fiori del tiglio e del castagno. In seguito il loro lavoro continuerà tra i prati, le siepi e i giardini. Verso agosto, l’apicultore toglierà il miele accumulato nei melari, ma la regina continuerà a deporre le uova che assicureranno la continuità della colonia e le operaie voleranno ancora alla ricerca di cibo. 

Agosto – La foto in basso mostra un’ape che raccoglie nettare tra i fiori della Reynutria japonica, una pianta spesso giudicata “invadente” e “inutile” che – alla fine di agosto, quando le fioriture scarseggiano – è frequentata da miriadi di api alla ricerca di sostanze nutritive. Un discorso – quello delle piante alloctone – che merita di essere approfondito…

Ape su Reynutria japonica

Fine agosto – Ape su Reynutria japonica, una pianta alloctona (Foto: Franco Gray)

 Primavera – La foto che segue mostra un’ape operaia con le cestelle  cariche di polline che, a marzo, già si aggira tra i primi fiori che colorano i giardini. Segno evidente che nell’alveare sono  presenti le nuove covate…

Ape in volo con le cestelle cariche di polline - Marzo, giardini (Foto: Annmaria Portalupi)

Primi fioriture nei giardini: ape in volo carica di polline (Foto: Annamaria Portalupi)

Note – Le sciamature a volte avvengono per i motivi più disparati: non ultimo quello di lasciare una colonia debole perché parassitata o danneggiata dagli eventi atmosferici e dagli animali.  In questo caso si possono notare piccoli nuclei di api mellifere che – soprattutto nel corso dell’estate o in autunno –  vagano alla ricerca di una nuova sistemazione. Gli apicultori guardano a questo fenomeno con una certa preoccupazione in quanto temono che  si tratti di una colonia portatrice di malattie. La verità – come già accennato – arriverà con la primavera: le colonie deboli, in effetti, difficilmente riescono a superare i rigori dell’inverno… 

Pare opportuno aggiungere – in appendice –  alcune osservazioni di Luciano Montagner in merito alle sciamature.

Scrive Luciano:

[…] Purtroppo le api rinselvatichite non sempre hanno successo perché spesso scelgono posti inadeguati per la collocazione del nido. L’apicultore attento sa che il primo glomere dopo la sciamatura si intrattiene sul posto solo per il tempo strettamente necessario alle api esploratrici per trovare una sistemazione definitiva ed è appunto in questa fase che il recupero dello sciame ha più possibilità di successo. La sciamatura non è un fatto eccezionale ma il normale ampliamento della colonia che, quando vede gli spazi restringersi,  si divide in due ed una parte della colonia sciama con la regina vecchia mentre l’altra metà rimarrà a continuare il presidio dell’arnia con una regina nuova […]

Prima di aprire un nuovo capitolo sul tema devo confessare che vorrei veder tornare le api da miele in quei boschi degradati dagli incendi dove si trovano grandi alberi desolatamente vuoti per cui… sarebbe interessante mettere in atto delle strategie di ripopolamento. Si tratta spesso di località lontane, non raggiungibili dai mezzi agricoli.  Come fare?  

Idee in merito saranno divulgate in nuove pubblicazioni. Sarebbe inoltre utile – a mio parere – illustrare la vita delle arnie domestiche: è vero che si possono consultare ottimi manuali, ma le voci dell’esperienza (successi, insuccessi, tecniche personali etc.) potrebbero integrarli.

 

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Api e bombi: una vita tra i fiori…

Bombi e api - Ai lati due specie di bombi, al centro trofallassi tra api (Foto: franco Gray)

Bombi e api – Ai lati due specie di bombi, al centro trofallassi tra api (Foto: Franco Gray)

Fotocomposizione in alto – A sinistra un bombo (Bombus pascuorum)  intento a bottinare tra i  fiori del Topinambur. Al centro un momento del passaggio di sostanze nutritive tra due api operaie nel calice del Vilucchio in cui hanno raccolto del nettare, o qualche goccia di rugiada. A destra un Bombo di terra intento a bottinare su una Bardana.

Impollinazione e impollinatori

Non solo api mellifere – L’impollinazione  – per restare nel tema che riguarda gli insetti dell’ordine degli Imenotteri – è operata anche da specie ancora poco conosciute e sulle quali il discorso rimane  aperto. Tra queste – oltre ai Bombi – occorre citare almeno le piccole “api solitarie” del genere Osmia che, silenziose e spesso inosservate, riescono a trasportare il polline anche tra gli organi riproduttivi meno accessibili dei fiori selvatici e delle piante coltivate…

Vai a   Impollinazione

Franco Gray (All’anagrafe: Franco Bertola)

 

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 Altri articoli sugli Imenotteri… 

Formiche del gruppo Formica rufa: le cacciatrici di bruchi

Vespe e Piralidi del bosso

Articoli in fase di espansione: la ricerca sulle api e sugli altri Imenotteri potrebbe raggiungere dimensioni notevoli ed essere ulteriormente suddivisa in vari capitoli. Per il suo ampliamento o completamento si richiederà – direttamente agli autori – l’autorizzazione all’utilizzo delle loro foto e/o dei loro testi. Grazie in anticipo per gli eventuali suggerimenti e per le segnalazioni di nidi  con api allo stato selvatico: le osservazioni che ne scaturiranno saranno preziose.

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Avvertenza! Il sito chiede sempre ai vari autori il permesso di utilizzare le loro foto o i loro testi. Tutto il materiale pubblicato  resta  proprietà degli  autori e non potrà essere utilizzato da terze persone senza la loro esplicita autorizzazione, ma sono gradite le condivisioni. Le eventuali citazioni dovranno essere corredate dall’indirizzo del sito.

Tags: arnia, arnie, cavità dei muri, giardini, vecchi alberi .

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