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Archivi mensili: Maggio 2020

Storie di ambienti ritrovati

Posted on 25 Maggio 2020 by Franco Gray Posted in Storie .

 

Questo articolo parla della Bassa Valsesia: siamo a Serravalle Sesia (VC) in Frazione  Bornate.  Pubblicato nell’agosto del 2013, il testo (in parte aggiornato) ricorda alcuni interventi  che – nel secolo scorso – portarono al recupero di vaste aree boschive degradate. Lo scopo: fornire esempi positivi. L’argomento fa da “apripista” a una serie di articoli (ricerche in corso di realizzazione…) sulle conseguenze dei disastrosi incendi che, iniziati alla fine del marzo 2019, scoppiarono nelle Valli della Bassa Valsesia e del Biellese (Alto Piemonte). Dalle lezioni del passato, in effetti,  possono venire validi esempi per affrontare i problemi recenti…

Tra feste popolari, vicende di paese e di recupero ambientale: una carrellata sulle vicende che videro la realizzazione di una lunga pista tagliafuoco e il restauro di due costruzioni sacre sul una collina spesso funestata dagli incendi e dal degrado del bosco.  Fotocomposizione - Pista x San Bernardo

Bornate, un tempo comune indipendente, con il Regio Decreto del 1927 diventò la frazione più a Nord di Serravalle Sesia.[1] La storia di Bornate ha origini antiche: la chiesa di Santa Maria risale probabilmente al IX secolo e, sulle alture che guardano a ponente, si trovano dei ruderi attribuibili a un antico castello avvolti da «ombre di mistero».[2] Inoltre, nei boschi a Nord-Ovest dell’abitato, sorgono  “Cappella Capun” e il già citato oratorio di San Bernardo. Si tratta di due costruzioni sacre care a diverse  generazioni che, proprio perché celate tra i boschi e quasi sconosciute a chi viene da fuori, meritano un po’ di attenzione. L’articolo tratta inoltre della agevole pista tagliafuoco e della sua realizzazione: in effetti un tempo il bosco era segnato solo da modesti sentieri non più percorsi per lavoro, ma solo per svago o per la ricerca dei funghi.

Nella fotocomposizione in alto: immagini relative al tracciato che, da Bornate, porta  all’oratorio di San Bernardo.  Usciti dall’abitato, il percorso passa nei pressi di  un invaso di recente costruzione. Lasciata la zona pianeggiante, una pista tagliafuoco si inerpica tra boschi e calanchi fino a “Capela Capun”: da lì prosegue fino all’oratorio che sorge sulla sommità della collina.

Storia di una festa ritrovata…

Di san Bernardo si trovano i segni non solo sulle montagne più alte, o nei passi alpini resi famosi dai frati e dai loro celebri cani: questa storia si svolge infatti nella Bassa Valsesia a quote che non superano i 650 metri sul livello del mare, alberi compresi. Il racconto – in verità un po’ romanzato per quanto riguarda i personaggi – richiama alla mente i tempi difficili del secondo Dopoguerra, il cosiddetto “Miracolo Economico” e le tradizioni popolari  della Frazione Bornate del Comune di Serravalle Sesia.  La narrazione vuole ricordare, in particolare,  come  fu ripristinata una festa senza tempo che tuttora  continua a ripetersi: la festa di San Bernardo, nell’oratorio che sorge sul colle più alto di quella comunità.

Sulla collina di San Bernardo…

Cartina con tracciato per San Bernardo di Bornate

In rosso: il tracciato che, da Bornate, porta all’Oratorio di san Bernardo passando per la Cappella nota come “Capella Capun”

A ponente dell’abitato di Bornate, una lunga pista tagliafuoco porta a una remota cappella nota come Capela Capun e all’oratorio di San Bernardo. Cappella Capun è un grazioso luogo della fede che sorge a 500 metri di altitudine tra i boschi e i calanchi, nei pressi di una sorgente. Nella Storia del Comune di Serravalle Sesia si legge che la cappella fu fatta erigere dal serravallese Giacomo Berteletti nei pressi dell’antico confine che, un tempo, separava il territorio del comune di Serravalle da quello di Bornate e che fu benedetta Il 21 agosto 1860.[3]

Sulla sommità dello stesso colle – a 626 metri sul livello del mare – sorge l’oratorio di San Bernardo, un altro luogo sacro che, dalla cappella, può essere raggiunto in meno di mezz’ora di tranquillo cammino.  Di questa remota costruzione si scrisse che, vista la grande venerazione delle vicine popolazioni per San Bernardo da Mentone, «anche Bornate non volle essere ultimo nella divozione a questo santo dei monti, affinché la sua protezione avesse ad estendersi, oltreché sulle persone in pericolo nei lavori su pei dirupi, anche sulle campagne sottostanti»  e i bornatesi  «restassero al sicuro da ogni grandine».[4]

L’oratorio di San Bernardo fu dunque edificato per proteggere i raccolti: ce n’era veramente bisogno in quanto la zona è nota da sempre per le grandinate primaverili e per la violenza dei temporali estivi. Nonostante l’inclemenza del clima e la natura accidentata delle colline, tuttavia, nella difficile realtà economica degli anni del secondo Dopoguerra a Bornate le tradizioni contadine non erano state dimenticate e una larga parte della popolazione, oltre a coltivare un po’ di terra, allevava qualche animale da cortile.[5]  Memori delle antiche usanze, nell’oratorio si officiavano almeno due funzioni religiose l’anno: la prima in occasione della festa di San Rocco, la seconda il 16 di agosto. Le celebrazioni erano un’occasione di divertimento per tutti in quanto, dopo la cerimonia religiosa, si mangiava quanto portato da casa, si suonava  e si ballava sul sagrato dell’oratorio: credenti, agnostici e atei si ritrovavano dunque sulla sommità del colle  per fare festa senza pensare alle scomuniche che – stando ai beghini del tempo –  parecchia gente avrebbe meritato.

Festeggiamenti al colle di San Bernardo. Primi anni del Dopoguerra

Foto ricordo dei festeggiamenti al colle di San Bernardo. Le immagini risalgono agli anni a ridosso del “Miracolo Economico”

Il “Miracolo Economico” e le sue conseguenze

Gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, com’è noto,  videro l’introduzione di nuovi stili di vita, di nuove tecnologie e, negli anni di crescita frenetica e incontrollata del Miracolo Economico,  le tradizioni legate al territorio e al mondo contadino anche a Bornate furono abbandonate. Dimenticate le feste legate ai riti propiziatori e del ringraziamento, tanto a Capella Capun che sul remoto oratorio di San Bernardo cadde l’oblio. Tra la gente che inseguiva  il mito della modernità il rispetto per l’ambiente naturale (se mai, in passato, c’era stato) passò decisamente  in secondo ordine e l’aumento dei consumi portò alla formazione di discariche in ogni dove. Il problema dei rifiuti andava così a sommarsi a quello della distruzione della fauna autoctona: i rapaci, ad esempio, erano considerati nocivi ed erano uccisi persino dai guardiacaccia. Ancora negli anni Sessanta, le volpi erano abbattute per la loro spiccata propensione a visitare i pollai e, per la loro cattura,  erano previsti dei «premi-compenso».[6]  Se alla caccia legalmente autorizzata aggiungiamo il disinteresse, il bracconaggio, la raccolta indiscriminata dei prodotti spontanei e il fuoco,  il quadro appare desolante: a quei tempi, i pochi volenterosi che cercavano di spegnere gli incendi boschivi erano privi di idonee attrezzature e si arrangiavano alla meno peggio. L’abbandono del territorio collinare, però,  finì  per creare seri problemi anche nel fondovalle: il rio che attraversa Bornate, infatti, durante le piogge provocava allagamenti e una parte dell’abitato si trovava con l’acqua alta ai piani inferiori delle case,  quasi come succede oggigiorno  nella ben più nota Venezia.

Problemi della collina di San Bernardo negli anni Settanta: l'oratorio che mostra le crepe do, incendi boschivi.

Le immagini si riferiscono alla fine degli anni Settanta del Novecento e illustrano la situazione catastrofica della collina di San Bernardo. L’oratorio è ormai in stato di abbandono: i muri mostrano vistose crepe e il tetto pare in condizioni precarie. La foto in basso a sinistra documenta invece di uno dei tanti incendi che funestavano i boschi ed evidenzia come il controllo del territorio a quei tempi fosse per lo più affrontato con mezzi inadeguati: i pochi volontari che tentavano di spegnere  le fiamme non disponevano di attrezzature idonee.
La terza foto può essere definita una “immagine triste”: scattata subito dopo un incendio documenta lo stato del bosco della collina di San Bernardo sul finire degli anni Settanta del Novecento (Foto: Franco Gray)

Forse a causa della difficile situazione ambientale, forse per nostalgia delle tradizioni frettolosamente accantonate, in paese vi fu una rinascita di interesse sia per le remote costruzioni sacre  delle colline che per l’ambiente naturale: sul finire degli anni Settanta nella frazione sorse infatti un “Comitato” che aveva lo scopo preciso di restaurare l’oratorio di San Bernardo e di recuperare il territorio boschivo, ormai completamente abbandonato al proprio destino.

La cerimonia reliogiosa all'oratorio di San Bernardo. !979

La messa celebrata nel giugno del 1979 all’interno dell’oratorio. I dipinti e la statua del Santo sono ancora in buone condizioni, ma il resto della costruzione sacra necessitava di un urgente restauro.

Quando il Comitato uscì allo scoperto e si rivolse alla popolazione, le risposte furono eterogenee e – come spesso tutt’oggi accade – alle parole per un po’ di tempo non seguirono iniziative concrete.  Mentre la gente pensava, le costruzioni sulle collina pativano i danni del maltempo per cui, per sensibilizzare la popolazione,  nel giugno del 1979 si tenne una prima festa conviviale sulla sommità del colle: al tremine di una cerimonia religiosa, negli spazi antistanti l’oratorio si organizzò un neppur frugale banchetto con quanto, dal fondovalle, era stato trasportato fin lassù dentro le gerle caricate sulle spalle di alcuni robusti volontari. L’evento,  promosso da un gruppo di genitori del Comitato e appoggiato dagli insegnanti delle locali scuole elementari, vide la partecipazione di  tre generazioni ed ebbe un successo insperato.  In quell’occasione – oltre ad ascoltare i racconti dei più anziani –  i partecipanti presero atto che i boschi erano in agonia e che l’oratorio necessitava di riparazioni urgenti. In breve: era arrivato il momento di fare veramente qualcosa, pena la perdita di un luogo caro alle antiche tradizioni locali.

Il  recupero dell’oratorio

Lavori per la teleferica.

Per i trasporto del materiale fino al colle si costruì una teleferica. La sua realizzazione vide il concorso della popolazione valida della frazione. Il motore, il verricello e il sottile cavo traente che si intravedono nella foto furono trasportati a spalle fino all’oratorio e costituiscono un valido esempio di “bricolage contadino” in quanto realizzati con il motore di uno scooter Lambretta ormai in disuso e altri ingegnosi oggetti fabbricati artigianalmente.

Il primo intervento – deciso a San Bernardo  in quella tranquilla domenica di giugno – prevedeva almeno la riparazione del tetto dell’oratorio, con il cambio di alcune travi e la sostituzione dei coppi danneggiati. Per trasportarvi il materiale necessario fu perciò pianificata la  costruzione di una teleferica che collegasse la sommità del colle con la periferia di Bornate: si era ai tempi del fai da te e… ciò che non c’era si poteva inventare.  L’impresa prevedeva la posa di un cavo della lunghezza di circa 800 metri e l’operazione richiedeva una notevole dose di esperienza: seguendo i consigli di un anziano montanaro,  una pesante bobina di filo d’acciaio fu suddivisa in rotoli di  modeste dimensioni che alcuni volontari – formando una lunga catena umana – trasportarono  a spalle fino alla sommità della collina seguendo una direttrice il più possibile in linea retta. Quando il capo della bobina  raggiunse finalmente il pianoro dell’oratorio fu saldamente agganciato alle rocce e agli alberi e, dopo varie peripezie, il lungo filo fu “teso come la corda di un violino”. Posata la teleferica, pur tra qualche polemica iniziarono i lavori  all’oratorio. Gli interventi si svolsero per lo più durante le ferie estive e andarono oltre le più rosee aspettative: si pensava di cambiare parte della copertura e invece si rifece completamente il tetto,  si recuperò il patio  e si sistemarono anche le crepe dei muri.  Terminata l’impresa si ripristinò la tradizionale  festa del 16 agosto, con la celebrazione della messa all’aperto e l’organizzazione di un sontuoso banchetto. I viveri, quella volta, arrivarono a San Bernardo nel carrello della teleferica.

Posa della teleferica e arrivo di un carrello.

Le sequenze mostrano alcuni momenti più significativi della sistemazione della teleferica  e l’arrivo di un carrello carico. 

Festa all'oratorio di San Bernardo. La messa all'aperto e la preparazione di un ricco banchetto

Terminata la posa della teleferica e sistemato il tetto dell’oratorio, il 16 agosto 1981 si ritornò alla tradizionale Festa di San Bernardo, con la celebrazione della messa all’aperto. La statua del Santo che trattiene il diavolo incatenato, in genere custodita all’interno dell’edificio, fu trasportata all’esterno e, mentre la gente ancora saliva  al colle, su un lato dell’oratorio già ferveva la preparazione di un ricco banchetto (Foto: Franco Gray) 

Una giornata memorabile

A San Bernardo, la giornata del 16 agosto 1981 – a detta di chi l’ha vissuta – fu sorprendente. Il primo fatto straordinario avvenne già al mattino presto in seno a una piccola comitiva che arrancava per raggiungere la sommità della collina. Proprio nel pianoro di Cappella Capun il figlioletto di un noto cercatori di funghi lasciò il sentiero per soddisfare un bisogno fisiologico. Sparì dietro una ceppaia di castagno e, quando riapparve, teneva in mano un grosso porcino “bianco e sodo”. Immediatamente tutti i presenti si precipitarono nella macchia circostante, ma ne uscirono a mani vuote. Un tizio che si era messo a smuovere le foglie con un ramo si ritrovò con le scarpe sporche di escrementi umani e se la prese con il padre del ragazzino: “… che prove hai che questa è la cacca di mio figlio – chiese l’uomo inviperito per il fatto che quel gentiluomo un po’ puzzolente aveva cercato di smuovere le foglie – potrebbe essere stato qualcuno del gruppo che è passato prima di noi, no?” Subito dopo, poiché il puzzone continuava a reclamare, gli ricordò una buona regola che, a quei tempi, solo i veri fungiat mettevano in pratica: “Così impari a rumare! Non  sai che non bisogna rovinare il letto dei funghi? Ti sta bene!”, gli gridò con quanto fiato aveva in gola,  rosso in viso come un tacchino. L’anno dopo, finalmente, usciva la Legge Regionale 32/82 e, per quanto riguarda la raccolta dei funghi,  l’uso di attrezzi per smuovere le foglie fu finalmente vietato.

Torniamo al 16 agosto 1981. All’oratorio, in quella memorabile mattinata la statua di San Bernardo che trattiene il diavolo incatenato era già stata trasportata all’esterno su un improvvisato altare allestito sotto il patio rimesso a nuovo. Se il demonio se ne stava tranquillo, non altrettanto avveniva per i membri del gruppo “Amici di San Bernardo”: infatti mentre  il prete celebrava la messa nelle pentole avevano messo a cuocere ogni ben di Dio. Durante il pranzo,  dagli zaini uscirono pure dei salami casarecci e  qualche bottiglia di vino generoso. Un uomo già avanti negli anni dopo aver apprezzato i salumi fu costretto a rivolgere tutte le sue attenzioni al contenuto delle bottiglie perché “… i salami erano buoni – avrebbe detto qualche giorno più tardi – ma erano un po’ salati e… lassù in cima mi era venuta  una sete tale che mi bruciava l’anima”.

Pomeriggio di festa all'oratorio di San Bernardo.

Dopo tanto lavoro, nello spazio antistante l’oratorio di San Bernardo si sente nuovamente il suono delle fisarmonica, stavolta accompagnata dalla chitarre delle nuove generazioni. Il 16 agosto 1981 rappresenta una data importante per le tradizioni locali della frazione Bornate in quanto, quel giorno, le mille difficoltà e incomprensioni che avevano accompagnato il recupero dell’oratorio si dissolsero come nebbia al sole.

Se il pranzo fu delizioso, il pomeriggio si rivelò ricco di sorprese.  Dopo tanti anni di oblio, al suono della fisarmonica e delle chitarre si aggiunsero i canti arrivati lassù dalle altre parti d’Italia: l’era della Globalizzazione non era ancora incominciata ma, nella cultura dei bornatesi l’Unità d’Italia poteva dirsi un fatto ormai compiuto. Persino la fauna locale, quel pomeriggio, ottenne qualche riconoscimento. Giocando tra i cespugli, alcuni ragazzini che avevano scovato un innocua vermosina la presentarono ai convitati e pure una signora che aveva una paura folle dei rettili arrivò a sfiorarla con la punta delle dita. L’animale fu poi liberato lontano dall’oratorio: si trattava di un orbettino,  un sauro che da allora molta gente non guarda più con diffidenza. Sul rientro serale ci sarebbero molte cose  da raccontare: un signore, ad esempio, perse l’equilibrio e corse il rischio di finire in fondo a una  scarpata, ma fu fermato da un provvidenziale cespuglio e, per calmare la sete, verso Cappella Capun andò a bere nel ruscello. Già che c’era, vi immerse anche le mani e il capo. I maligni dissero che – finalmente! – quel galantuomo aveva imparato ad apprezzare  l’acqua fresca e pura.

Nei giorni a venire, in paese  le polemiche che avevano accompagnato la posa della teleferica e i lavori all’oratorio cessarono come d’incanto: scoppiò la concordia e i  soliti arruffapopolo si trovarono improvvisamente spiazzati. Da allora, la festa si ripete ogni anno e qualcuno, forse con un po’ di presunzione, sostiene che – per quanto riguarda la tutela  e la valorizzazione delle risorse naturali e dei beni culturali di Bornate – il futuro cominciò a San Bernardo.

Nuove iniziative

Gli anni Settanta e Ottanta del Novecento in Valsesia videro l’affermarsi di una sorta di “presa di coscienza ecologista” e, insieme alla valorizzazione dei diversi aspetti della flora e della fauna,  vi fu anche la riscoperta delle consuetudini locali. Un articolo pubblicato sul Corriere Valsesiano, ad esempio, nel condannare l’uccisione dei rettili innocui ne illustrava il ruolo ecologico.[7]  Anche l’amministrazione comunale fece la sua parte e, presso il centro sociale del capoluogo,  organizzò specifiche serate sui temi ambientali. In quegli anni nacque pure un gruppo locale del “Corpo Volontari Antincendi Boschivi del Piemonte”, meglio noto come AIB e si attuarono specifici “Progetti Ambiente” pluriennali che videro coinvolte scuole, associazioni ed enti diversi.[8] A Bornate, l’interesse per il territorio sfociò  nella realizzazione di una pista tagliafuoco che tuttora  collega l’oratorio al paese e nella soluzione dei problemi di Capella Capun.

Capella Capun

"Capela Capun" anni '80 del '900, prima del restauro.

Capella Capun sotto la neve. Siamo negli anni Ottanta del ‘900, prima del restauro (Foto: Franco Gray)

Sistemato l’oratorio sulla sommità della collina, restava aperto il problema di Capella Capun: la costruzione si trovava infatti in condizioni alquanto precarie. Dopo varie vicissitudini, grazie all’intervento dei volontari della squadra AIB, del gruppo “Amici di San Bernardo” e del “Comitato Benefico Bornatese”, fu possibile raggiungere la costruzione con i mezzi fuoristrada.[9] L’intervento vide delle polemiche e – non so perché – cadde la testa del coordinatore del Gruppo Antincendi Boschivi. Nonostante ciò, varie organizzazioni seppero portare  avanti le aspettative di recupero ambientale e la cappella fu infine risanata. In seguito la  pista proseguì fino alla sommità del colle e, grazie agli interventi di tutela del patrimonio boschivo, oggi gli incendi sono solo un brutto ricordo. Dopo la realizzazione del tracciato  la “gloriosa teleferica” fu smantellata: non so dove i vari pezzi siano attualmente custoditi ma, a mio parere, meriterebbero di finire in un museo del folklore, o della creatività contadina di un tempo.

Testo e foto: Franco Gray (All’anagrafe: Franco Bertola)

Le foto d’epoca in bianco e nero sono state gentilmente concesse dalla popolazione di Bornate.

Note

[1] Da “Storia del Comune di Serravalle Sesia”, di don Florindo Piolo. Stabilimento grafico Fratelli Julini, Grignasco S.d.  La pubblicazione vide la luce negli anni a cavallo della II guerra mondiale e fu riprodotta nel 1995.  Bornate, un tempo era un comune autonomo:  l’accorpamento al comune di Serravalle Sesia  del 1927 avvenne con Regio Decreto (Piolo, pag. 579).
[2] Piolo, pag. 166
[3] Piolo, pag 535 – I Berteletti in questione erano soprannominati Capun per distinguerli dalle altre famiglie Berteletti di Serravalle.  Il sito del Comune di Serravalle (http://www.comune.serravallesesia.vc.it/)  fornisce altre notizie tratte dall’opera di don Florindo.
[4] Cfr. Il capitolo XL – Piolo, 530-531
[5] A Bornate vi erano anche aziende zootecniche di dimensioni significative. Per quanto riguarda le coltivazioni va fatto notare che – poiché la vite può crescere anche su suoli asciutti e ghiaiosi e il vino migliore si ottiene nei versanti ben esposti – si impiantarono le vigne persino nei luoghi più impervi. Tra le rovine del castello di Bornate, ancora alla fine degli anni Settanta del Novecento, vi era un vigneto coltivato con passione dalla famiglia Boca. I terrazzamenti erano stati  ricavati tra le rovine delle antiche mura. 
[6] Il Corriere Valsesiano del 3 dicembre 1960 riportava i nomi  dei cacciatori  premiati per l’abbattimento delle volpi  a Naula, a Vintebbio e a Bornate.
[7] Corriere Valsesiano del 31 agosto 1984, pag. 8
[8] Notizia Oggi del 3 marzo 1989, pag. 15.

[9] Tra le informazioni apparse sui fogli locali, Il  Corriere Valsesiano del 22 ottobre 1993 pare costituire un punto di riferimento cronologicamente importante in quanto – essendo ormai possibile  raggiungere Capèla Capun con i mezzi a quattro ruote motrici –  riferisce degli interventi programmatici di alcuni gruppi di volontariato.

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Aggiornamenti

Gli incendi del 2019 – Alla fine del mese di marzo del 2019 sulle colline della Valsesia e della Valsessera scoppiarono furiosi incendi che bruciarono qualcosa come 2200 ettari di boschi (fonti giornalistiche) –  Il fuoco divampò per nove giorni e vide l’opera di volontari e di mezzi aerei: fu infine spento anche grazie alla pioggia caduta il 4 aprile.  Un ambiente risanato grazie alla buona volontà della gente deve  nuovamente lottare con i danni provocati dal fuoco. Di conseguenza sarà necessario produrre una documentazione in merito  a ciò che è rimasto e alla triste situazione che gli incendi provocarono in quei giorni neri di fine marzo-inizio aprile del 2019.  Il fuoco risparmiò però sia Capela Capun che l’oratorio: ecco una foto del maggio 2020.  Il resto sarà illustrato in un nuovo articolo…

"Capela Capun" dopo il restauro.

Capella Capun dopo il restauro. Risparmiata dal fuoco, la costruzione è rimasta punto di incontro   (Foto: Franco Gray)

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Avvertenza –   Il sito chiede sempre il permesso per l’utilizzo delle foto che compaiono nei vari articoli – Tutto il materiale pubblicato  resta  di proprietà  degli autori e non potrà essere utilizzato senza la loro esplicita autorizzazione. 

Vai a  … tra modernità e tradizione

Formica rufa: le antagoniste dei bruchi…

Posted on 5 Maggio 2020 by Franco Gray Posted in Cuori selvaggi, Luoghi, Monografie, Storie, Tesi e ricerche .

Lotta biologica: “trapianti” di successo – Le formiche del gruppo Formica rufa sono qui raccontate  nella loro vita quotidiana e nelle strategie messe in atto per la loro diffusione. Originarie delle Prealpi lombarde, le formiche predatrici furono “trapiantate” anche negli Appennini.  La loro  funzione  è qui sintetizzata sulla base di alcune osservazioni sul campo e delle indicazioni fornite da una vecchia ma ancora utile pubblicazione cartacea  della Regione Lombardia…

Conifere e formiche del gruppo Formica rufa che attaccano un bruco (Fotoelaborazione: Franco Gray)

Tra le conifere, nel tipico ambiente delle formiche del gruppo Formica rufa: predazione di un bruco  (Fotelaborazione: Franco Gray)

Protette da leggi regionali, spesso confuse con le piccole formiche rosse che – quando pizzicano – provocano ponfi abbastanza dolorosi, le formiche predatrici meritano tutta la nostra attenzione: sono i nemici dei bruchi defogliatori…

Formiche con insetto verso l'imboccatura del nido

Formiche indaffarate nei pressi del nido. Siamo ai margini di una radura soleggiata (Foto: Franco Gray)

Si potrebbe iniziare l’articolo con una infinità di citazioni sulle specie ritenute utili per la conservazioni degli equilibri ambientali ma… è arrivato il momento di dedicare tutto lo spazio disponibile alle formiche del gruppo Formica rufa…

Nella foto a lato siamo in una modesta radura ai margini di un bosco di conifere talvolta utilizzato come pascolo: le formiche – sorprese sopra i residui vegetali che proteggono il loro nido – sono alle prese con una Panorpa. Difficile dire se si tratti di una preda o del ritrovamento occasionale di un insetto morto scovato nel sottobosco… 

Formica su ostacolo con insetto  (Foto: Franco Gray)

Formica (catalogazione incerta…) che trasporta cibo al nido: il superamento di un ostacolo (Foto: Franco Gray)

Nelle vicinanze dei nidi sin dai primi tepori che annunciano la fine della stagione fredda  si nota il frenetico andirivieni di questi piccoli Imenotteri che – trascinandosi appresso insetti, aghi di pino e altri residui vegetali – lavorano instancabilmente con una funzione che potremmo definire “spazzina” e “predatoria”.

Insetti morti? Bruchi defogliatori? Nelle foreste (ma anche nei giardini)  a “ripulire” il suolo e il sottobosco e a contenere il numero di fitofagi ci pensano – insieme alle altre forme di vita che contengono il numero dei consumatori primari e dei parassiti –  le formiche del gruppo  Formica rufa e le altre formiche carnivore.

Le specie (vedi Bibliografia) che – per comodità espositiva – sono spesso citate come Formica rufa sono:

  – Formica lugubris

  – Formica aquilonia

  – Formica polyctena

Le differenze tra le tre specie (vedi bibliografia) non sono rilevanti: le lugubris sembrano privilegiare i boschi di abete rosso e predano i bruchi che ne divorano gli aghi. Come le altre specie citate, queste formiche vivono in grandi nidi a cupola costruiti sui pendii rivolti a sud in boschi relativamente aperti e  costruiti in modo tale da mantenere stabile la temperatura interna. I nidi sono inoltre orientati per ricevere al meglio la luce del sole: sul lato ben esposto  la superficie è infatti maggiore e in primavera si può notare un gran numero di formiche operaie  ferme sul nido che, dopo essersi riscaldate, vi entreranno per rilasciare il loro calore. Le formiche descritte come Formica aquilonia mostrano colori meno vivaci rispetto alle altre due specie, ma per il resto si evidenziano comportamenti analoghi alla Formica lugubris e alla Formica polyctena. Queste formiche sono in grado di identificare i membri del loro nido e di distinguerli dagli altri per cui, in caso di intrusioni, possono rilasciare feromoni che lanciano segnali di allarme. In tutte le specie citate sono presenti formiche operaie sterili e una casta riproduttiva.

Le Rufa…

Come vivono: il nido

Acervo di formiche del gruppo Formica rufa

Formiche predatrici: un acervo di grandi dimensioni (Foto: Serena Lombardi)

La foto di Serena Lombardi è stata scattata  a   Campigna all’interno del Parco delle Foreste Casentinesi in provincia di  Forlì-Cesena. L’enorme formicaio viene dai discendenti delle formiche predaatrici provenienti dalle Prealpi e traslocati con successo  – tanti anni or sono – nelle foreste in cui occorreva combattere i bruchi e gli altri insetti defogliatori.  Il procedimento adottato è illustrato più avanti, al paragrafo  intitolato “I nuovi insediamenti”

Il cumulo che le formiche del gruppo Formica rufa formano sopra il livello del suolo è   costituito da un acervo di materiale vegetale composto in prevaleza di aghi di abete e di larice (Alpi)  o di pino (Appennini). In qualche caso il cumulo – a differenza degli insediamenti  nati da parecchi anni –  può mostrare dimensioni molto  modeste.  Le dimensioni e il materiale di costruzione però non contano in quanto  – quello che a prima vista può sembrare un ammasso informe di sostanze vegetali – grande o piccolo che sia è in realtà un complesso di gallerie e di celle che si  diramano nel terreno sottostante isolando le formiche dagli sbalzi termici e dalla pioggia.

Formica del gruppo Formica rufa con un brandello di muschio serrato nelle mandiole (Foto: Franco Gray)

Formica che trasporta un brandello di muschio verso il nido (Foto: Franco Gray)

Nel nido, la popolazione è composta da un gran numero di formiche operaie sterili e prive di ali, dalle regine e dai maschi. Questi ultimi però muoiono al termine della funzione riproduttiva per cui, in determinati periodi, possono essere assenti. Sotto gli acervi nelle gallerie sotterranee troviamo poi un buon numero di regine che – dopo essere state fecondate dai maschi durante il volo nuziale –  perdono le ali e iniziano a deporre le uova. Le operaie provvedono al vettovagliamento della colonia uscendo a cercare cibo, si prendono cura delle regine e delle larve, difendono il nido spruzzando di acido formico gli intrusi, lo accrescono ampliando le gallerie sotterranee e portando nuove sostanze vegetali sul cumulo. Le operaie forniscono cibo e assistenza sia alla regina e che alle covate sistemando le uova fino alla schiusa poi – siccome le larve non sono in grado di alimentarsi da sole –  le accudiscono nutrendole e portandole nelle  camere del nido più adatte al loro sviluppo.  Queste formano poi dei bozzoli di dimensioni variabili e lì si trasformano in ninfe: dai bozzoli di piccole dimensioni nasceranno le operaie; da quelli più grandi usciranno invece le future regine e i maschi che, durante il volo nuziale, le feconderanno.

Le regine fecondate talvolta tornano al nido, in altri casi danno origine a un nuovo insediamento: arrivate al suolo e trovato un anfratto sicuro, perderanno le ali e deporranno le prime uova. Ne usciranno le formiche operaie che – oltre a prestare le necessarie attenzioni alla regina –  inizieranno a scavare sotto il livello del suolo e porteranno al nido il materiale necessario alla costruzione del tipico cumulo che protegge le sottostanti gallerie.

Come proteggere i nidi 

Picchio verde sul tronco di una conifera

Picchio verde (Foto: Monikuccia Zanetti)

I nidi delle Rufa corrono qualche rischio, soprattutto quando le nuove regine – prive dell’aiuto delle operaie – sono costrette a sopravvivere consumando i muscoli che muovevano le ali e nutrendosi con una piccola parte delle loro stesse uova.  Chi avesse la fortuna di trovare un nuovo insediamento in un angolo del proprio giardino o nei boschi potrebbe proteggerlo dai naturali nemici: tra questi i picchi.  Grandi  “cacciatori” delle larve del legno, in inverno questi uccelli integrano la loro dieta con semi e bacche ma in primavera  possono facilmente cercare sostentamento rovistando nei nidi delle formiche: non è infatti  raro notare i picchi verdi posati al suolo mentre vanno in cerca di proteine animali. La loro dieta preferita pare sia a base di formiche e delle loro larve: in effetti la natura li ha dotati di una lunga lingua appiccicosa che – srotolata –  serve loro da esca. Ed è così che, mentre gli incauti insetti cercano invano di approfittare di quello che scambiano per un attraente boccone… finiscono nello stomaco del loro predatore.  In qualche caso i nidi vengono messi sottosopra dagli altri animali e si segnalano pure prelievi da parte degli umani che cercano larve per i loro acquari, o per gli uccelli oggetto di allevamento.

La protezione più semplice – ovviamente per i nidi di piccole dimensioni – consiste nella posa di una reticella che li ripari  dagli attacchi dei predatori. Nel caso (non tanto raro) che una regina scelga un luogo nel quale il nido  non potrebbe prosperare… sarà possibile rimuovere il piccolo insediamento e sistemarlo in un luogo sicuro, dentro una buca foderata di materiale legnoso e in un terreno ben drenato ed esposto al sole. In questo caso però – come si può leggere nella “storia” che segue  – conviene ricorrere a personale esperto. Individuare una corretta posizione e procedere nel migliore dei modi, in effetti, può essere fondamentale per una buona riuscita dell’operazione di trasferimento.

La diffusione dei nidi di Formica rufa…

Fotoelaborazione in basso – La vecchia ceppaia potrebbe ospitare una nuova colonia di formiche predatrici: in linea teorica le condizioni ambientali sembrano ottimali. In effetti  l’immagine mostra una abetaia asciutta è  ben esposta alla luce. Al centro si evidenzia un vecchio ceppo ormai marcescente: la sua presenza potrebbe rivelarsi molto utile in quanto il nuovo insediamento  di   formiche troverebbe radici ormai friabili che affondano nel suolo, per cui la costruzione delle camere e delle gallerie sotterranee sarebbe molto facilitata. In caso di colonizzazione, la vecchia ceppaia sarebbe presto ricoperta di aghi d’abete. Da lì le formiche compirebbero le lor scorribande alla ricerca di prede e di materiale da costruzione…  

Ambiente con abeti, latifoglie e vecchia ceppaia (Fotoelab. Franco Gray) lie ev

Una abetaia e una vecchia ceppaia in decomposizione: ambiente adatto a nuovi insediamenti di Formica rufa  (Fotoelaborazione: Franco Gray)

Storia di un salvataggio – I nidi di formiche predatrici sono un bene prezioso e protetto da specifiche leggi. Le sciamature possono però finire in luoghi dove proprio non potrebbero prosperare: parecchi anni fa mi capitò di trovare una piccola colonia  persino in una baita rimaste temporaneamente chiusa, proprio davanti alla porta d’accesso. Gli intraprendenti insetti sfruttavano il riparo naturale in modo ottimale: riparati dalle intemperie,  con molta diligenza scendevano  in profondità facendosi largo tra le pietre a secco  del basamento e accumulavano aghi di pino in superficie. Si era alla fine dell’estate e il nido  era di dimensioni assai modeste, ma con l’arrivo della primavera sarebbe cresciuto in modo esponenziale e il proprietario della baita non sarebbe riuscito ad entrarvi.  Le conseguenze per le laboriose formiche cacciatrici sono facilmente immaginabili: distruzione forzata mediante  i soliti insetticidi.  Per evitare pasticci, trafile burocratiche infinite e conflitti di tipo naturalistico sarebbe stato necessario rimuovere quell’insediamento  un po’ “abusivo” in maniera semplice e veloce, sistemandolo lontano dal fabbricato in un luogo sicuro. E così avvenne con i primi tepori della primavera… ora quello che fu un piccolo nido è cresciuto e prospera al riparo di una balma, in una radura assolata e circondata da larici.

la storia appena raccontata è vecchiotta, risale ai tempi in cui le attenzioni verso questi insetti erano ancora misconosciute e non deve certo ripetersi. Le soluzioni “fai da te” in effetti non vanno più praticate: ai giorni nostri troviamo facilmente esperti  disponibili ad agire in maniera professionale e senza rischi per gli insediamenti da rimuovere. 

Dalle Prealpi agli Appennini: storia dei nuovi insediamenti…

Processionare (Disegno di Gian Battista Bertelli)

Processionaria del pino: nido, adulti, larva- L’azione dei bruchi che divorano le foglie  può essere molto dannosa…  (Disegno di Gian Battista Bertelli)

Le formiche predatrici  nel contrasto alle Processionarie – Il testo citato in Bibliografia tratta di spostamenti e di “trapianti” di nidi di formiche predatrici operati  dal Corpo forestale dello Stato per contrastare i parassiti dei pini. Gli interventi analizzano i motivi dei successi e degli  insuccessi per cui…  una breve sintesi di quelle esperienze pare indispensabile.

I primi trapianti di formiche (Formica lugubris) risalgono agli anni Cinquanta del secolo scorso. In Lombardia i nidi prosperavano, ma erano assenti sugli Appennini, dove i boschi di conifere erano infestati dalle Processionarie del pino (Thaumetopoea pityocampa). Per combattere i parassiti si procedette in questo modo:

–  prelevamento dei nidi dalle Prealpi lombarde a circa 1300 metri sul livello del mare e  relativo trasporto fino all’Appennino ligure nella zona di Passo del Penice. I nidi furono sistemati in grandi barili della capacità di 100 litri riempiti con  materiale prelevato da nidi ricchi di formiche operaie, di larve  e di regine. L’operazione fu compiuta con personale appositamente addestrato;

– il materiale stivato nei bidoni fu rapidamente trasportato nella zona di destinazione e sistemato in buche scavate nel terreno. Il fondo delle buche era stato accuratamente predisposto sistemandovi dei tronchetti di legno. Tutto il contenuto dei barili prelevati  nelle Prealpi lombarde  finì nelle buche: vi furono dunque traslocate le formiche operaie, le regine, i bozzoli, gli eventuali maschi adulti e il materiale organico con cui il nido era stato costruito.

Quel primo esperimento non diede grandi risultati: in effetti le formiche prelevate dai boschi di abeti erano finite  in boschi di pino situati in condizioni ambientali ben  diverse  e già gravemente danneggiati. L’esperienza maturata portò tuttavia a procedere nel migliore dei modi e a creare nuovi e ben riusciti insediamenti. Si legge nel testo citato che:

… negli stessi luoghi abbiamo oggi popolazioni della stessa specie perfettamente adattate […] in condizioni di attività e di sviluppo del tutto paragonabili a quelle delle più fiorenti popolazioni alpine. Anzi vi si sono formati acervi di dimensioni colossali, molto più alti di quelli delle popolazioni delle Alpi: infatti alcuni nidi formatisi spontaneamente dalle popolazioni trapiantate sull’Appennino pavese e in Toscana hanno acervi di due metri di altezza, con una base di tre metri di diametro e una popolazione valutabile sicuramente in molti milioni di formiche operaie.

Le osservazioni raccolte  sulla presenza delle Processionarie  confermano una significativa riduzione nel corso degli anni successivi all’insediamento delle formiche: la loro azione  pare concentrarsi soprattutto nei confronti delle farfalle e sulle loro uova. L’azione predatoria si è dimostrata particolarmente efficace  attorno ai nidi (Fonte: bibliografia citata). 

Per quanto riguarda la presenza della Processionaria del pino (Thaumetopoea pityocampa) e della sua  (talvolta enfatizzata) pericolosità il sottoscritto può solo rilevare che il noto parassita si annida anche in altre conifere (i nidi sono stati notati persino su alcuni esemplari di conifere da giardino). Nelle zone  collinari della Bassa Valsesia in cui sono stati trapiantati i Pini d’Austria i nidi non sono molto numerosi ma non si è notata la presenza delle formiche qui descritte: di conseguenza ogni valutazione in merito alla loro efficacia nel confronti delle processionarie delle mie colline sarebbe azzardata e per ora mi accontento di sottolineare e di propagandare  l’esperienza dei trapianti di nidi dalla Prealpi agli Appennini. Nel quadro della lotta biologica si può parlare di un grande successo forse quasi dimenticato.  

L’utilizzo degli antagonisti…

Sfinge del pino: bruco (Foto: Annamaria Portalupi)

Sphinx pinastri, la Sfinge del pino (Foto: Annamaria Portalupi)

Foto a lato – Bruco di Sphinx pinastri,  un lepidottero noto come Sfinge del pino. A contenerne il numero ci penseranno (tra l’altro) le fameliche formiche appena descritte.

 Lotta biologica: una alternativa ai prodotti chimici

Vi sono vari metodi per contrastare gli organismi che distruggono foglie gemme e fiori: la “Lotta biologica” si serve dei loro antagonisti…

Nella lotta biologica per tenere a bada le specie che – quando sono presenti  in numero eccessivo – (bruchi, ad esempio) defogliano le piante  non si usano antiparassitari  chimici, ma  i naturali nemici dei fitofagi…

 

Foto i basso:  un bosco montano alla ripresa primaverile, con conifere latifoglie. Gli alberi sono in piena salute, ma tra i loro rami è tutto un brulicare di diverse forme di vita e – tra queste – certo non mancano gli organismi che, se troppo numerosi, potrebbero danneggiarlo. Al loro contenimento pensano gli antagonisti…  basta lasciar fare alla natura.

Bosco misto, primavera

Primavera – Bosco misto con conifere e latifoglie (Foto: Franco Gray)

Franco Gray (all’anagrafe: Franco  Bertola)

FOGLIA 100-x-75

Bibliografia e notizie  complementari

Mario Pavan, Utilità delle formiche del gruppo Formica rufa – Regione Lombardia, marzo 1980

Mario  Pavan  (nato a Vado Ligure nel 1918, + a Pavia nel 2003) è stato accademico  con specializzazioni in entomologia. Fu anche un abile speleologo. Ministro dell’Ambiente nel 1987, già negli anni Cinquanta del  Novecento collaborò con il Corpo Forestale dello Stato per lo studio della Lotta biologica:  le sue esperienze sono sintetizzate in questo articolo.

Foto di  Serena Lombardi, Annmaria Portalupi, Monikuccia Zaninetti – Testo e altre foto: Franco Gray – La pubblicazione dell’illustrazione del (fu) Gian Battista Bertelli è stata autorizzata dal figlio Aldo. 

 Il prossimo articolo sulle formiche predatrici tratterà della loro presenza tra i monti della Valsesia. Allo scopo si sta raccogliendo materiale sulla dislocazione dei nidi: le segnalazioni saranno molto utili, grazie in anticipo per la collaborazione.

Mail to <storieinaturali@gmail.com>

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Avvertenza –   Il sito chiede sempre il permesso per l’utilizzo delle foto che compaiono nei vari articoli – Tutto il materiale pubblicato  resta  di proprietà  degli autori e non potrà essere utilizzato senza la loro esplicita autorizzazione. 

 

Tags: antagonisti, parassiti .

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