Un viaggio nei terreni della Bassa Valsesia e della Valsessera in profonda trasformazione. Una indagine che inizia nei prati, nei campi, nei vigneti e nei frutteti in cui – abbandonate le colture – tutto ritorna allo stato naturale, o quasi…

Colline della Bassa Valsesia in primavera (Foto: Franco Gray)

Colline della Bassa Valsesia in primavera (Foto: Franco Gray)

Il paesaggio racconta –  La striscia in alto va letta e interpretata: sulle colline della Bassa Valsesia l’inizio della primavera mostra i colori dei ciliegi in fiore e il verde delle conifere, ma gli alberi d’alto fusto in primo piano devono ancora mettere  le foglie.  Il paesaggio di mezzo secolo fa era ben diverso: sulle colline ghiaiose si coltivava la vite, nei terreni freschi e sciolti le piante da frutto. In basso, nei cosiddetti “prati arborati”  si falciava l’erba e si raccoglievano le mele. Con l’abbandono delle coltivazioni qua e là si piantarono larici, abeti e pini strobi, ma altri appezzamenti furono lasciati alle forze della natura. Alcuni ciliegi un tempo coltivati (vedi i fiori bianchi tra il verde) sopravvissero, altri nacquero dai semi sparsi dagli uccelli e dai piccoli mammiferi. Siamo di fronte a una profonda trasformazione del paesaggio ricca di segni da decifrare.

Vigneto estirpato: successione di piante pioniere

C’era una volta una vigna. Sullo sfondo: la mitica Pietra Croana… (Foto: Franco Gray)

In un vigneto abbandonato, un codibugnolo che ritorna al nido (Foto: Franco Gray)

In un vigneto abbandonato, un codibugnolo che ritorna al nido (Foto: Franco Gray)

 La foto in alto aiuta ad esaminare un ambiente in profonda trasformazione: siamo in presenza di una “successione secondaria”, ovvero di un terreno  un tempo coltivato a vigna e ora lasciato alla vegetazione spontanea. I segni dell’attività umana sono evidenti: la costruzione in mattoni dava rifugio e conforto  ai contadini durante i temporali e la presenza di un camino indica che – in inverno – quel “casinot” offriva anche un po’ di calore  a quanti lavoravano nella vigna. Su quei terreni la coltivazione della vite cessò forse per l’avanzare dell’età dei proprietari:  sta di fatto che, estirpate le viti, sul terreno magro e ghiaioso  arrivarono le piante pioniere. La nuova situazione vede infatti la presenza di betulle e di una robinia carica di semi. Il vento, gli animali e le azioni umane porteranno presto a nuovi cambiamenti: le robuste e adattabili robinie cresceranno tra le betulle,  le paulownie, i saliconi…

La foto in alto mostra invece un vigneto abbandonato da poco tempo. Le viti non sono state estirpate e ancora ricacciano: all’inizio della primavera un codibugnolo ha costruito il proprio nido tra i tralci. il terreno è occupato da felci e rovi, ma presto arriveranno altre essenze…

Filari con uva matura

Gattinara. Nel vigneto, filari pronti per essere vendemmiati (Foto Franco Gray)

Noè e i rovi: storia di una maledizione

Nella foto a lato: un lungo filare carico di grappoli maturi. Siamo nella zona di Gattinara. Su quelle colline – a  dispetto della maledizione di Noè –  la coltivazione della vite continua a conoscere momenti fortunati, con un  conseguente ritorno economico.

“Noè: il gran patriarca salvato sull’Arca… sapete il perché? Perché fu l’inventor dei vini e dei liquor”.  Il detto popolare era destinato ai bambini per parlare del Diluvio Universale e del successivo ripopolamento del Pianeta ad opera dei sopravvissuti. Si raccontava infatti che, appena le acque si ritirarono,  il buon Noè e o suoi famigliari – lasciata l’Arca che li aveva salvati  – per sopravvivere diventarono agricoltori. Come si sa, la terra lavorata con sapienza è molto generosa: trovandosi con dell’uva in più di quanta potesse consumarne… l’intraprendente Patriarca pensò anche ai piaceri della vita e… inventò il vino. Il vino buono va consumato con parsimonia ma Noè – forse esaltato dalla sua scoperta – un giorno esagerò un po’ con le libagioni e, diventato troppo generoso, invitò il buon Dio ad assaggiare quella sua creazione. Il Padreterno ne fu entusiasta e già dal primo bicchiere lo ringraziò calorosamente poi – pare per fare due chiacchiere  in più – gli  chiese come avesse fatto a produrre quella raffinata  bevanda. Noè però… era geloso della sua invenzione e – temendo la concorrenza – raccontò che aveva utilizzato le more di rovo: aveva a cuore i principi fondamentali della moderna economia e non voleva certo che si creassero invasioni di mercato. Il buon Dio, com’è a tutti noto, nei suoi Comandamenti raccomanda di non mentire: “… caro Noè” – disse celando il suo malcontento – “ho ascoltato quanto tu mi hai raccontato e… ti voglio aiutare. Dove la punta del rovo incontrerà la terra… avrai nuove piante. Vedrai quante more potrai raccogliere!”. E fu così che, da quel giorno, mettendo radici anche dai tralci, il rovo iniziò a propagarsi con estrema facilità. (Fonte: racconto di famiglia)

Note pratiche

La moltiplicazione di alcune piante è possibile attraverso le propaggini: se nel rovo avviene in modo del tutto naturale quando i rami apicali vengono a contatto con il suolo, in altre specie la radicazione può essere facilmente indotta. Anche i rovi coltivati, le rose di macchia, l’uva americana  e molte altre piante sarmentose emettono infatti radici dai tralci interrati: alla ripresa vegetativa basterà coprirli in parte con della buona terra e aspettare. Nel giro di pochi mesi recidendo il tralcio si otterranno nuove piantine.

Per saperne di più vai a Propaggine (Wikipedia)

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 Incolti da scoprire: la funzione ecologica delle “piante invadenti”…

Ape mellifera su fiore di rovo (Foto: Franco Gray)

Ape mellifera su fiore di rovo: bottinando di fiore in fiore troverà del nettare e del polline per la covata (Foto: Franco Gray)

Rovi: fiori e more

Rovi: tra fiori e frutti (Foto: Franco Gray)

Le foto a lato e in alto mostrano insetti che frequentano i fiori dei rovi: tra questi un’ape mellifica che, in assenza di altre  fioriture, per tirare avanti sta bottinando ciò che Madre Natura le mette a disposizione. Per riempire i melari in primavera le api fanno ricorso alle fioriture delle robinie (miele biondo), poi passeranno a raccogliere il nettare tra i fiori del tiglio e del castagno. 

La foto in basso mostra invece un nido fotografato tra i rovi ai margini di un  prato: in questo caso il cespuglio spinoso in primavera offre rifugio e protezione. In seguito, con l’arrivo dell’estate le more mature diventeranno cibo per i selvatici 

Nido tra i rovi (Foto: Franco Gray)

Nido tra i rovi (Foto: Franco Gray)

Tra le “piante invadenti” che molto spesso non sono gradite, sono oggetto di scarsa considerazione o per le quali si predica l’eradicazione non troviamo solo i rovi, ma una lunga lista di  essenze che va dalle robinie alle altre specie alloctone, sia da reddito che ornamentali. Queste ultime furono importate per la loro bellezza, le altre per il rimboschimento. Insieme agli alberi d’alto fusto tra gli incolti  troviamo pure le specie “sopravvissute” all’abbandono: meli, peschi, ciliegi, cachi e peri che hanno superato mille difficoltà.  Le piante pioniere e quelle scampate all’assalto del bosco vanno conosciute meglio, insieme alle essenze aromatiche e alle erbe commestibili. Tra queste ultime, alcune erano presenti prima dell’arrivo dei colonizzatori, altre sono arrivate chissà come fino ai terreni abbandonati e vi si sono insediate con successo. Torniamo agli alberi: nel mio caso – e mi riferisco ad alcune specie di conifere, ai ciliegi selvatici, ai mirabolani – ho provveduto personalmente al loro insediamento con qualche trapianto poi… le risorse della natura hanno provveduto a diffonderli. 

Foto sotto – Con questa ultima carrellata di foto l’articolo chiude con una speranza: ne riparleremo. Lo faremo anche con l’aiuto delle immagini e dei testi di altri autori ed estendendo il campo d’indagine ad altre realtà geografiche.

Fotocomposizione con piante alloctone

Piante alloctone (Foto: Franco Gray)

Fiori della Paulownia (Foto: Franco Gray)

 I fiori della Paulownia (Foto: Franco Gray)

Foto in alto – Piante arrivate da lontano che fanno discutere. A sinistra una Buddeleja che colonizza i margini del bosco su un terreno sassoso, al centro i frutti della Wineberry, o mora del Giappone (Rubus phoenicolasius). A sinistra i noti fiori della Robinia: una pianta amata dagli apicoltori ma poco gradita ai frutticultori e ai vignaioli.

Foto a sinistra – I delicati fiori della Paulownia, un albero d’alto fusto e a rapido accrescimento che – dai parchi e dai giardini della Bassa Valle – ha raggiunto gli incolti e le rive dei fiumi. La presenza della Paulownia fa discutere: c’è chi provvede a trapiantarla per poter utilizzare il suo legno leggero e chi – per contro – la ritiene “dannosa” e vorrebbe eradicarla.

Vai a  Serravalle, tra tradizione e modernità

Franco Gray (all’anagrafe: Franco Bertola)

Precisazioni  importanti sulle foto dei nidiFotografare i nidi può disturbare le covate. Cosciente di quanto leggo e ascolto, per evitare sterili polemiche preciso che la foto al codibugnolo nella viga incolta è stata ottenuta a distanza con un radiocomando dopo aver posato la fotocamera (dotata di un medio tele) sul cavalletto.  I nidiacei tra i rovi mi sono invece capitati davanti  di sorpresa mentre mi inoltravo in un roveto e hanno spalancato il becco convinti di ricevere del cibo. Un paio di scatti velocissimi e via: i nidi vanno lasciati in pace.  

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