Tra le conifere: larici e ambiente – Le prime conifere apparvero sulla Terra oltre 350 milioni di anni fa: la storia della loro evoluzione arriva da molto lontano. Pini e abeti hanno foglie sempreverdi che ricambiano gradualmente, il larice invece in autunno perde gli aghi e appare spoglio fino alla primavera successiva. Tale adattamento permette alla specie di affrontare le condizioni climatiche più difficili: lo troviamo infatti – sia pure contorto e segnato dalle forze avverse della natura – anche oltre il limitare del bosco.

Conifere verso il colle del Termo, fine ottobre

Verso il Colle del Termo (Valsesia) – Conifere fotografate alla fine di ottobre. Notare il larice ormai dorato che si appresta a perdere gli aghi (Foto: Tito Princisvalle)

Vetusto larice ai limiti della vegetazione arborea, estate

Un vetusto larice che sfida le avversità dell’ambiente estremo  in cui cresce (Foto: Franco Gray)

Larici e lariceti

Lasciati i larici allo stato “selvaggio”, scendiamo di quota e andiamo nei lariceti utilizzati per le attività umane. A ben guardare potremmo definire il lariceto della foto sotto come un “prodotto culturale” in quanto è stato creato e mantenuto tale anche dagli interventi umani: la sua formazione è dovuta infatti in parte all’utilizzo del suolo per il pascolo. Poiché il larice lascia filtrare la luce in maniera ben maggiore rispetto alle altre conifere, la sua presenza era ed è provvidenziale: la luce permette infatti la presenza di un fitto sottobosco inerbito caratterizzato da piante nitrofile, concimate dalle deiezioni animali, in cui – accanto alle erbe gradite agli animali domestici – possono crescere piccoli frutti quali i mirtilli e i lamponi.   

Larici

Un tranquillo bosco di larici in Alta Val Vogna. Fine giugno (Foto: Franco Gray)

Fiori e pigne di larice

Rametto di larice con pigne dell’anno precedente, fiori femminili e fiori maschili. (Foto: Franco Gray)

 Caratteristiche

Il larice è una pianta monoica: lo stesso albero produce fiori maschili e fiori femminili.

La foto a fianco mostra le pigne dell’anno precedente, i fiori maschili e i fiori femminili del larice. Siamo alla ripresa vegetativa, la stagione fredda è ormai alle porte e presto spunteranno anche le foglioline.  I fiori si formano sui germogli dell’anno precedente:  i maschili sono di colore giallastro, quelli femminili  sono invece di color rosso-porpora,  di dimensioni maggiori ed eretti.   Dopo la fecondazione si trasformeranno gradualmente in pigne  legnose, via via più rossicce  che diventeranno scure  verso l’autunno, a maturazione avvenuta.  Quando si apriranno, il vento e gli animali ne disperderanno i semi.  

rametto di larice: fiori diventano pigne, nascono le prime foglioline

I fiori del larice crescono, sui rametti nudi compaiono le prime foglioline  (Foto: Giuseppe Ferraris)

Il processo di riproduzione  dei larici avanza con l’aumento della temperatura e si conclude  quando le pigne saranno aperte e i semi potranno diffondersi. Il larice è pianta colonizzatrice e – spesso nelle forme ibride – è diffuso alle diverse quote altimetriche. Nelle colline è stato spesso trapiantato nelle vigne non più coltivate. E in certi casi si è insediato da solo, grazie ai semi arrivati con gli animali…

 Nella foto a sinistra i fiori maschili sono ormai caduti e il fiore femminile si trasforma gradatamente in coni fertili. Sui rametti spuntano  le nuove foglioline. La pigna matura dell’anno precedente è ancora chiusa e aspetta che uccelli, vento e acqua ne disperdano i semi.

Nota – Nei trapianti  sono state introdotte varietà di larice provenienti da altri Paesi (ad esempio il larice giapponese). Soprattutto nelle zone collinari  le nuove specie si sono acclimatate senza problemi e talvolta hanno dato origine a ibridi.  Nell’osservare le pigne  si notano spesso delle piccole differenze: i larici autoctoni (quelli che crescono alle quote più elevate) mostrano infatti coni piuttosto allungati. I larici trapiantati (o i loro ibridi) invece sviluppano spesso pigne dalla forma più arrotondata.  Le foto evidenziano tali differenze.

Coni, pigne e nuova piantina - Larici

Larici – A sinistra: in primavera mentre le pigne crescono tra le foglie. Al centro: albero carico di pigne in inverno. A destra una piantina che cresce  tra sfasciumi di roccia  (Fotoc.: Franco Gray)

Cincia bigia si nutre di semi di larice (Foto: Mario Maino)

Autunno – Cincia bigia tra i rami di larice. Tra gli aghi che stanno cadendo e le pigne la cincia trova  il cibo  che le permetterà  di passare l’inverno, o di affrontare una migrazione verso luoghi meno ostili  (Foto: Mario Maino)

Il larice: pianta pioniera  di montagna …

Vecchio larice rimasto allo stato arbustivo

Un larice rimasto allo stato arbustivo perché cresciuto in condizioni difficili, su un dirupo battuto dal sole e dal vento. Sullo sfondo, il torrente Vogna, in Alta Valsesia (Foto:Franco Gray)

Larice in alta montagna

Ultimi larici verso il Passo del Turlo (Alagna) – (Foto: Nanuk Svalbard)

Lassù, i larici sono gli ultimi alberi. Compaiono dopo le faggete formando lariceti sempre meno fitti,  si spingono oltre il limitare del bosco in piccoli gruppi. Nella foto in alto un larice mostra i segni lasciati dalla neve che ogni anno cade in abbondanza. Il manto nevoso, mentre scivola dolcemente verso valle, spinge sul tronco curvandolo e imprimendogli le caratteristiche “sciabolature”. 

Nel lariceto

Sentiero tra i larici

Alpe Veglia: sentiero tra i larici (Foto: Matthias Mandler)

I “laricini”: funghi simbionti obbligati

Fungo simbionte del larice del genere Suillus (Foto: Matthias Mandler)

“Laricino”: un fungo simbionte del larice (Foto: Matthias Mandler)

    Parliamo di “simbiosi”, ovvero dei rapporti di collaborazione tra viventi. Nel lariceto troviamo i “laricini”: sono i corpi fruttiferi  dei funghi dei larici…

In sintesi, i filamenti sotterranei del “laricino”  della foto stringono stretti rapporti di collaborazione con i larici: i suoi sottili filamenti (le ife) si diramano nel terreno e raccolgono acqua e sostanze nutritive che cederanno poi all’albero attraverso le radici. Il fungo compare per riprodursi:  si forma   prelevando – sempre dalle radici – la linfa elaborata che il larice stesso produce nel processo noto come fotosintesi clorofilliana. In questo caso siamo in presenza di un simbionte obbligato, ovvero di un organismo la cui presenza  dipende dall’albero con cui convive.

      Il laricino  è noto come Suillus elegans e come  Suillus grevillei.  Si legge  che i filamenti possono esplorare il suolo fino a quindici metri dall’albero, ma in genere il corpo fruttifero appare nelle vicinanze del larice con cui convive.

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Larici riflessi - Autunno

Riflessi d’autunno ai Laghetti Bellagarda (Foto: Paola Clerico)

Civetta nel lariceto (Foto: Paola Clerico)

Autunno nel lariceto: una civetta tra i rami che stanno ormai perdendo gli aghi (Foto: Paola Clerico)

  Tra i rami – Una civetta tra i  rami di larice in autunno, forse sta adocchiando una preda. Le foglioline cadranno a breve  e presto gli uccelli di piccole dimensioni  troveranno rifugio nelle conifere sempreverdi ma, per ora, becchettano tra i ramoscelli carichi di pigne alla ricerca di insetti e semi.

Camoscio sotto la neve che si sporge verso i rametti di larice

Inverno: freddo e neve. Un camoscio alla ricerca di cibo che si nutre di rametti di larice (Foto: Mario Barito)

Inverno, freddo e neve – In inverno i rametti del larice sono graditi agli erbivori: la foto  del camoscio che, mentre cade  la neve,  si allunga verso il maestoso larice alla ricerca di gemme  rende l’idea  della funzione ecologica di questa pianta pioniera.  

Il legno di larice è duro  e resiste bene all’acqua. Il suo utilizzo ha permesso  alle tipiche costruzioni in legno delle montagne di resistere alle intemperie e al tempo. Visto il suo successo, anche nelle basse colline possiamo trovare piantagioni, talvolta realizzate con gli ibridi che derivano dal larice giapponese.    I larici  – specie nella specie autoctona ( Larix decidua) – difficilmente vengono attaccati  dai  rodilegno o dai funghi  parassiti. Quando ciò avviene a liberare l’albero sofferente ci penseranno i picchi: questi, dopo aver scavato i tronchi alla ricerca di larve, a volte vi costruiscono il nido…

Tra i frequentatori delle conifere troviamo uccelli quali  il regolo, il fiorrancino e il luì: volteggiano spesso in piccoli gruppi  di ramo in ramo. Catalogati tra gli uccelli di minore dimensioni, spesso “invisibili”,  meritano un  momento di attenzione. Troviamo inoltre uccelli particolarmente  idonei a utilizzare le risorse delle pinete  e delle abetaie: tra questi, il crociere dal becco a cesoia. I tronchi offrono ricovero e nidi sicuri, le fronde nascondono i piccoli mammiferi  ai loro predatori,  sotto le chiome  il suolo è  ricco di erbe e dei frutti tipici dei boschi radi e freschi.  Le presenze umane, le tecniche di adattamento alle condizioni ambientali, la vita di piante ed animali sono illustrati in vari articoli in preparazione…

Vai a  Tra le  Conifere: appunti senza fine (In preparazione)

 Vai a  I Walser: case di larice e di pietra

Franco Gray (All’anagrafe: Franco Bertola)

FOGLIA 100-x-75 I larici della valli alpine: tra natura e letteratura

Val Vogna (Foto: William Yehudha De Oliveira)

Le fronde di un larice incorniciano una veduta sulla Val Vogna (Foto: William Yehudha De Oliveira)

  La roccia è la mia casa, il mio rifugio, il mio giaciglio. Il cielo è il mio cappotto, il mio sovrano, il mio dio. Qui io vivo, ascolto, fremo. Qui io giaccio, nulla sfugge al mio sguardo e al mio controllo. Qui io vedo e sento ogni cosa. È il vento che mi parla; sussurra alle mie orecchie portando con sé il canto dei grilli, lo scroscio del fiume, i fischi delle marmotte e il cinguettio degli uccelli che su me si posano di quando in quando. Il sole mi riscalda, la pioggia mi rigenera, la nuvola mi protegge. Gli insetti mi portano gioia e riempiono le mie giornate. Osservo gli animali pascolare, sento i cani che abbaiano e gli uomini che parlano. Respiro il profumo dei fiori che con me danzano al ritmo del vento. […]  Giaccio qui sospeso, intorno a me una tra le più belle valli del mio territorio. Conosco il fiume e i suoi benefici, il vento porta a me i suoi schizzi scherzosi, ma mai ho potuto sentirlo accanto a me. Conosco la bellezza e l’amore per la mia valle ma mai ho potuto accarezzarne l’erba morbida, o salire più in alto per percepire più di ciò che il Maestro mi ha concesso. I campanacci degli animali al pascolo risuonano intorno a me, raccontandomi avventure di luoghi che mai sarò in grado di conoscere. Io sono la mia Valle poiché qui io vivo e qui io morirò, qui i miei semi mi daranno nuova vita. Io vivo la mia Valle e la sento vivere intorno a me.   […] Ahimè, non è nella natura di un albero narrare perciò tu, viaggiatore sconosciuto, raccogli la mia lacrima di resina, osserva la mia Valle in essa riflessa e, proprio come il vento, fai della tua eco la mia voce.

(Testo: Sara Olivieri)

Della stessa autrice:

Kain, il guardiano dei ricordi

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