Gatto

Un gatto domestico di campagna che mostra alcune delle caratteristiche del gatto selvatico. Che si tratti di un incrocio?

 

Un tempo, ai mici era affidato il compito di tenere lontano i roditori dalle abitazioni. Ancora convinto che il mondo non fosse cambiato profondamente, qualche anno fa adottai una gatta di strada, ovvero  un animale cresciuto chissà come che, in paese,  se la sbrigava cacciando un po’ di tutto, persino i piccioni. La randagia era un po’ aggressiva e – tra l’altro – aveva malmenato il gatto di una anziana vedova. Costei, per vendicarlo,  pensava di avvelenarla…

 

   Il caso della bestiola che rischiava di fare una brutta fine mi fu segnalato dai dirimpettai della vecchietta. Mi dissero che c’era una gatta da salvare, che la vicina cercava sempre di prenderla a scopate: “L’altro giorno… abbiamo trovato addirittura delle esche per i ratti su un piattino: se la micetta le avesse mangiate sarebbe morta avvelenata!  Si chiama Mitzi è  socievole, si lascia accarezzare ma… non ha una famiglia. Tu che vivi in campagna, perché non la adotti?”, concluse con gli occhi umidi una signora.

Ghiro dentro casa: un problema scacciarlo

Un ghiro “urbanizzato” che si è intrufolato in una mansarda…

“Ma è proprio il gatto che cercavo – risposi entusiasta – mi aiuterà a mettere in fuga i ghiri dal solaio”.  Proprio così: ogni anno,  verso la fine di settembre,  per affrontare degnamente la  brutta stagione qualche ghiro freddoloso decide di  andare a vivere nel solaio di casa mia.  All’arrivo dei primi freddi si sentono  noci che rotolano, zampette che raspano e strani richiami sonori che, nel cuore della notte, mentre tolgono il sonno alimentano i peggiori  pensieri.

Per sloggiare i ghiri dal solaio il metodo è semplice, ma faticoso. All’arrivo dei fastidiosi inquilini,  e fino alla loro gradita partenza, tutti i santi giorni accatasto in modo diverso gli scatoloni, rovescio i tavoli, cambio la posizione degli oggetti. Il lavoro richiede tempo ed energia: “… un buon gatto – mi dissi – in cambio di un po’ di latte terrà lontano i roditori invadenti e io eviterò un sacco di fatica…”

   Il giorno seguente incontrai Mitzi sul pianerottolo della vecchia che avrebbe voluto avvelenarla. Per catturarla, cercai di essere gentile ma fui frainteso: non appena la afferrai graffiò infatti la mano che l’avrebbe tenuta lontana dai pericoli.  Dopo un paio di carezze si chetò e, arrivata a casa mia, decise che mai più sarebbe tornata alla vita randagia.  Quando finalmente la portai nel solaio perché si guadagnasse da vivere scacciando  i roditori, le previsioni si avverarono e quella stessa notte si sentì un gran baccano. Le nottate successive furono tranquille: i ghiri si erano spostati verso siti più ospitali.

La fortuna, si sa, non dura per sempre. Poiché Mitzi faceva la posta agli uccelli del giardino, in famiglia si fece di tutto perché non li disturbasse. Cibo a volontà  e alloggio confortevole finirono però per svilire la natura della nostra scaccia-roditori: nel giro di qualche mese si impigrì e ora… preferisce starsene in casa a dormire sul divano. Di conseguenza, per sloggiare i ghiri devo purtroppo aggiustarmi ricorrendo  al vecchio e faticoso metodo della manomissione dell’ambiente.

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   I roditori che si insediano nelle abitazioni diventano un serio problema perché rosicchiano, sporcano e distruggono. Per capire l’indole dei ghiri, è bene ricordare che un tempo finivano nello spezzatino: i boscaioli dicevano che erano ottimi e sembra che li cucinassero con le patate. Da ragazzo mi è capitato di trovarli nei nidi degli uccelli e negli alberi cavi ma posso testimoniare che, non appena andavo a frugare nei luoghi in cui si rintanavano,  migravano verso posti più tranquilli. Quando invadono le abitazioni, il metodo del disturbo e della  manomissione dell’ambiente in cui si insediano come sgraditi ospiti,  a mio parere, rappresenta l’unica soluzione valida per toglierseli di torno: certamente la specie ha dovuto imparare a diffidare del genere umano e i segni della nostra presenza nei pressi delle loro tane sono più efficaci di ogni altro espediente.  Quanto a Mitzi… non rimane che riflettere  sulla corruzione dei costumi: “… per imparare un mestiere – si diceva in famiglia quando ero un ragazzo – ci vuole un buon maestro e si impiegano  almeno tra anni. A fare il pelandrone, invece, si impara subito.”

Ghiro presso una siepe

Un ghiro fotografato nell’ambiente in cui vive e si rifugia: una siepe non lontana dalle abitazioni. (Parco Regionale del Monte Fenera).

 Testo e foto di Franco Gray

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