Intervista di Liza Binelli

Liza Binelli intervista il presidente di Assocanapa Felice Giraudo

Presentazione della Tesi

La coltura della canapa è stata per anni protagonista della vita contadina della nostra penisola, vanta un lungo e articolato passato e, oggi, solo le persone anziane ne preservano il ricordo. Questo ciclo produttivo è proseguito fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, poi è stato abbandonato e dagli anni Novanta è oggetto di una rinnovata attenzione.

Il lavoro di ricerca è iniziato con lo spoglio delle principali fonti a stampa, mi sono documentata attraverso un’accurata ricerca bibliografica, lettura di testi e manuali sulla ripresa della coltivazione di questa pianta; a questa fase è seguita la ricerca sul campo con una serie di interviste fatte a coloro che oggi ne hanno ripreso la coltivazione oppure hanno avviato istituzioni museali riservando al loro interno uno spazio alla canapicoltura e, ne illustrano gli usi tradizionali e moderni agli studenti delle scuole di ogni ordine e grado. Dal dialogo con questi testimoni qualificati sono emerse storie non reperibili sui testi, come anche modi di dire e proverbi.

La presente ricerca è divisa in quattro capitoli. Nel primo ho delineato le diverse varietà botaniche e le vicende storiche indo-europee, italiane e piemontesi. Nel secondo capitolo ho ricostruito il ciclo produttivo tradizionale, tracciando tutte le fasi di lavorazione della canapa: dalla semina alla tessitura. Facendone sempre un excursus storico per poi arrivare alle tecniche di raccolta meccanizzate e agli impieghi industriali. Ho evidenziato la parte più tradizionale della vita agreste, parlando dei costumi del secolo scorso, del mondo contadino e delle sue credenze. Il terzo capitolo offre, invece, alcuni spunti di riflessione sull’utilizzo attuale, ho trattato dei derivati della canapa, dall’impiego che se ne fa nella bioedilizia, in cucina e in medicina. In conclusione ho descritto le attività commerciali presenti in Italia che offrono prodotti a base di canapa.

Infine, nel quarto capitolo intitolato “Raccontare la canapa: i musei in Piemonte” ho esaminato alcune significative realtà museali della regione che dedicano una grande attenzione alla ricostruzione e alla comunicazione del ciclo produttivo della canapa con il fine di favorirne la riscoperta attraverso un percorso scientifico.

Raccontare la canapa

Negli anni Cinquanta l’Italia era il secondo maggior produttore di canapa tessile del mondo (era preceduta soltanto dall’Unione Sovietica). La varietà “Carmagnola” forniva la miglior fibra in assoluto e le rese unitarie per ettaro erano (e potrebbero ancora essere) maggiori che in ogni altro paese. Per secoli  l’Italia ha esportato canapa ed è stata riconosciuta come produttrice della miglior qualità di fibra tessile per indumenti  e per cordami. Fino a poco dopo la seconda guerra mondiale era normale, in un paese la cui economia era essenzialmente agricola, coltivare canapa. Con la progressiva industrializzazione e l’avvento del boom economico, cominciarono a essere imposte sul mercato le fibre sintetiche (prodotte negli Usa, come il nylon) e la canapa cominciò a sparire non solo fisicamente, ma anche dal ricordo e dalle tradizioni della gente.

Ecomuseo  lavorazione canapa

L’ingresso dell’Ecomuseo della cultura della lavorazione della canapa con la ruota simbolo posta in alto.
Il museo si trova in Via Crissolo, Borgo S. Bernardo, frazione di Carmagnola (To)

Carmagnola è una località in provincia di Torino che conta 28 mila abitanti e dista dal capoluogo una trentina di chilometri. Proprio qui in via Crissolo esiste l’Ecomuseo della cultura della lavorazione della canapa.  Caterina Longo Vaschetti,  presidente del Gruppo storico cordai,  racconta:

Abbiamo cercato in tutte le case degli oggetti che servivano per realizzare le corde e in ogni abitazione abbiamo trovato qualcosa di interessante, ancora ben tenuto, anche se erano trascorsi 30-40 anni dall’ultima volta che erano stati usati. Ma, soprattutto abbiamo trovato persone capaci di lavorare ancora le corde. Non ci sono macchinari per questo, solo l’abilità di sapienti mani potevano realizzare un buon prodotto. In questo modo abbiamo rappresentato questa parte di Carmagnola, esattamente con un “santè”.

Tettoia museale

Il “santé”, il cuore del museo. È una tettoia sotto la quale lavoravano le donne e gli uomini per fabbricare le corde. Lungo il porticato oggi i visitatori vedono le corde antiche appese e le gigantografie in bianco e nero che riproducono le varie fasi di lavorazione della canapa.

La lavorazione della canapa

Dopo essere stata seminata, raccolta, sbattuta, macerata, estratta, essiccata, maciullata, raffinata, filata e tessuta, la canapa era ormai pronta per essere utilizzata o venduta. La coltivazione e la lavorazione delle piante procurava lavoro a migliaia di persone, a cui era garantito un salario; tra queste importantissime erano le figure ormai scomparse del canapaio, del pettinaro  e del cordaio…

Attrezzi da cordaio: i committoni.

Museo di Carmagnola. I committoni, attrezzi originali dei primi del’900 per la lavorazione delle corde.

 Durante le varie fasi di lavorazione si creava una sorta di cameratismo e al termine del periodo si festeggiava sull’aia, con canti e balli, oltre a pranzi e cene fra i membri di più famiglie. Il ciclo di lavorazione  diventava così il momento per fare nuove conoscenze; fra i più giovani potevano nascere simpatie e si gettava il seme delle future famiglie. Tutte le donne di estrazione popolare sapevano filare, era un’arte che imparavano fin da bambine dalle loro madri, acquisendo la consapevolezza dell’importanza che quella capacità poteva avere nell’ambito della economia familiare. Un antico detto popolare diceva così: “Val più donna filando che cento regnando”.

Fare corde…

Oggi nel museo di Carmagnola viene mostrato come si realizzavano a mano le corde. Il prodotto era impiegato soprattutto sulle navi.

Il "santè"

Nel santè si possono vedere i vecchi attrezzi e si notano corde appese lungo il muro, come si faceva un tempo per l’asciugatura.

 

Caterina Longo Vaschetti, responsabile del museo, spiega:

Canapuli ammassati su un carro

Carro con i canapuli. Questi erano gli steli della canapa: essiccati, servivano per avviare il fuoco.

“I fasci di canapa, dopo essere  stati estratti dai maceratoi, venivano disposti inverticale ad asciugare all’aria,   una volta asciutti venivano stigliati a mano dalle donne  che ne spezzavano  gli steli. Questi, detti canapuli, venivano  lasciati alle lavoratrici come paga e usati per accendere il fuoco domestico o venduti ai panettieri per l’avvio dei forni.” C’è un modo di dire legato a questi steli, tipico di Carmagnola: “Padrun d’la ciauv di j canaveui”, ossia padrone del nulla, perché i canapuli avevano solo lo scarsissimo utilizzo citato.

 “Gli uomini venivano a pettinarla con pettini di ferro, detti  in piemontese i “ruscè”. L’operazione veniva compiuta molte volte  per ottenere il risultato voluto. Per favorire l’attorcigliamento delle fibre fra loro era necessario che  queste non fossero tagliate di netto, bensì strappate.”

ruota nel santè

Un volontario del museo mostra come funzionava la ruota posta sotto il “santè”.
Per aiutare gli operai nella preparazione delle corde, si girava la manovella che faceva muovere  il volano per agevolare l’attorcigliamento delle fibre

Prosegue la responsabile:

“La corda veniva, quindi, rifinita, eliminando i filamenti che la rendevano altrimenti pelosa; per far questo la si strofinava energicamente con maglie di ferro più e più volte, fino a quando era bella liscia.

Lisciatura della corda

Caterina Longo Vaschetti, presidente del museo, mostra come si migliorava la corda per renderla bella liscia: tenendo con la mano destra il filo e sotto il braccio una matassa di canapa già pettinata, si lavorava indietreggiando

Oggi i tempi sono cambiati e per la raccolta della canapa si usa la stigliatrice meccanizzata che taglia a un metro e mezzo e forma i fasci da sola lasciandoli depositati sul terreno ad asciugare.”

A Carmagnola ha sede anche l’associazione  Assocanapa, presieduta da Felice Giraudo. Intervistato da Liza Binelli, il Presidente ha spiegato che il gruppo  è stato fondato  per promuovere, tutelare e diffondere la coltivazione della canapa e il suo impiego nei vari settori produttivi.

INTERVISTA A PIERLUIGI GULLINO, CANAPICOLTORE

Pierluigi Gullino, canapicoltore di famiglia d’agricoltori, racconta la sua storia personale legata alla canapa.

un canapicultore

Pierluigi Gullino, canapicoltore, mostra un manifesto dell’Assocanapa

“Ho iniziato nel 1998  […] in quel periodo c’era un grande entusiasmo, tutti credevano che la pianta avrebbe riacquistato nell’ agricoltura italiana  il ruolo di protagonista che aveva prima del crollo. Le cose non sono andate in questa direzione. E’ vero che la canapa nel 2012  viene coltivata ed esiste un’associazione Assocanapa che coordina il rientro di questa coltura; ma  si sono incontrate  grandi difficoltà dovute al fatto che l’Italia, l’Europa e il mondo intero verso questa pianta nutrono ancora una sorta di amore e odio. La canapa  è una pianta controversa di cui tante persone dicono bene e altrettante  dicono male, anche se,  piano piano, i primi stanno aumentando, perché si è scoperto che la canapa è una pianta assolutamente ecologica, è una pianta storica che appartiene all’umanità. Se fossimo dei maghi e facessimo sparire la canapa dalla storia sparirebbe buona parte dell’architettura, i ponti degli antichi Romani, le vele delle navi. Tutto. Questo per evidenziare l’importanza fondamentale che ha avuto nella storia dell’uomo. Per l’architettura, per esempio,  qualsiasi sviluppo architettonico senza funi, né corde non si sarebbe potuto fare. Nell’economia agricola era fondamentale, non si potevano avere altre fibre per fare sacchi, corde, lenzuola […]Ha avuto importanza nella vita domestica rurale in quanto con essa si facevano vestiti e corredi per le giovani figlie. Anche dal punto di vista strategico, senza la canapa non si vincevano le guerre, era fondamentale.

Cordame in fibra di canapa

Corde in fibra di canapa. Oggi vengono realizzate in iuta, in lino, in rayon, in seta. Ma per le gomene delle navi si usa ancora solo la canapa, in quanto non teme l’acqua salmastra.

  Per esempio, molti si chiedono perché Napoleone si sia impegnato in una campagna così rovinosa come quella russa, il motivo è presto detto, voleva aprire la “Via della canapa” per portarla in Francia, armare la sua flotta e sconfiggere gli Inglesi. La campagna fu disastrosa. Questo per evidenziare che non è una pianta che si può accantonare, metter da parte, bensì è fondamentale. Come una gamba di un tavolo, toglierla dall’agricoltura significherebbe squilibrare l’assetto agricolo di una nazione o addirittura di un intero continente. La canapa era una pianta a rotazione pertanto per l’avvicendamento agricolo era decisamente rilevante  in quanto, contrariamente ad altre colture, tende a portare humus al terreno. Si adatta a tutti i territori, in effetti si potrebbe dire che  tutta l’Italia è il paese della canapa: infatti ne sono state trovate tracce dalla Valle d’Aosta alla Sicilia. Tutte le montagne piemontesi erano coltivate a canapa, i montanari la coltivavano, la tessevano, la lavoravano e così  nel resto della penisola.  La canapa è rientrata in Italia nel 1998 per motivi non politici, né di carattere agricolo. All’inizio erano tutti perplessi, comprese le forze più ecologiste”.

Com’è rientrata?

“È rientrata in un  modo che io definisco magico. Sembra che in questa pianta ci sia un’intelligenza intrinseca, come se decidesse lei come muoversi, come operare e in quali momenti. In effetti nel 1998 all’allora Ministro Michele Pinto fu inviata una lettera da Sosio Capasso, professore di scuola media superiore e suo amico d’infanzia, che abitava a Frattamaggiore, nel napoletano . Nella missiva il docente, in tono confidenziale, chiese di occuparsi della reintroduzione della canapa e di interessarsi presso le politiche comunitarie, che già allora chiedevano all’Italia di rientrare nella coltivazione della canapa. Pinto nominò una commissione di studi per vedere le possibilità di attuazione del progetto. La commissione si pronunciò in modo favorevole – l’unica opposizione, strano a dirsi, fu fatta dai Verdi che ritenevano che  tale coltivazione fosse inquinante – il progetto è  quindi iniziato, usufruendo dei contributi europei.

Negozio di prodotti a base di canapa

Ingresso del negozio “Ecologia e natura” dove sono venduti prodotti a base di canapa coltivata dagli stessi proprietari

 

Io stesso ho partecipato casualmente, avendo letto un trafiletto su un giornale,  e , poiché conoscevo già questa pianta  e tutte le sue possibilità,  ho iniziato a seminarla e ora sono già trascorsi 13 anni dalla prima semina. Un grande impegno, uno sforzo notevole, una grande avventura che ci ha portati, i primi anni, ad agire col fuoco, perché avevamo un sogno da realizzare: vederla tornare nei campi. Speravamo nello sblocco totale di questa pianta che ha 50 mila usi e potrebbe  risanare l’economia di un intero paese. I primi anni sono stati di grandissimo impegno, poi, col variare delle amministrazioni,  si è di nuovo demonizzata la pianta; ciò ha fatto sì che la categoria dei contadini non seguisse la canapicoltura, che si tirassero indietro, insomma. E, al momento, rispetto all’ inizio, siamo ad un numero di ettari inferiore rispetto alle speranze iniziali. Ciò non toglie nulla, la canapa supererà anche questo momento”.

Pierluigi e Maria Teresa Gullino  possiedono un appezzamento di terra di 6000 metri

Francobollo  sulla canapa

Francobollo raffigurante una contadina mentre si reca sui campi di canapa

quadrati coltivato a canapa dal 1998. La pianta, una volta essiccata, finisce in un laboratorio di Andora, nel savonese, ed utilizzata per preparare prodotti per la cura del corpo, in  altri laboratori viene invece lavorata per ricavarne  abiti e stoffe.

I Gullino  sono inoltre proprietari, dal 2002,  di  una bottega che vende prodotti a base di canapa, “Ecologia e natura”, presso il centro commerciale “Il Gialdo” nella città di Chieri.

Il marchio “Donna canapa” è di proprietà dei signori Gullino, che  hanno anche realizzato un francobollo, raffigurante una contadina che, con la falce,  si reca sui campi.  

Dalla tesi di Liza Binelli, riduzione e adattamento. Foto dell’autrice.

Vai a Prazzo e il museo della Canapa