Escursione in Valsessera

Un gruppo di escursionisti in Valsessera, alla ricerca delle tracce del supervulcano

INDIETRO NEL TEMPO

Immaginare l’aspetto del nostro territorio come appariva centinaia di milioni di anni fa non è per niente facile: dovremmo stirare le Alpi e muovere i continenti, cancellare specie viventi e dimenticare l’esistenza dell’uomo. Se potessimo fare tutto questo ci ritroveremmo in un ambiente molto diverso da quello che conosciamo: passeggeremmo fra vapori, vulcani e fanghi ribollenti. Ora le rocce che si sono formate in quell’antica ed estesa area vulcanica emergono in un’ampia zona che comprende la Valsesia, la Valsessera e parte del Biellese occidentale fino a toccare il lago Maggiore.

Località Dinelli

La località Ponte dei Dinelli, nel comune di Scopa. Prima tappa dell’itinerario geologico valsesiano

Già da più di un secolo si sapeva che le rocce affioranti in questi territori derivano da magmi raffreddati nella crosta terrestre o da lave fuoriuscite in superficie; la loro origine è stata spiegata con diverse teorie. La più recente, e rivoluzionaria, è quella di Silvano Sinigoi (Università di Trieste) e James Quick (Università di Dallas). Se infatti tutti erano d’accordo nell’attribuire a tutti quei… “sassi” l’origine magmatica, sono stati questi due geologi – grazie alle moderne tecniche di datazione delle rocce – a interpretarli come appartenenti a un unico, grande sistema attivo tra 290 e 280 milioni di anni fa e ormai fossile: chi avesse temuto in un risveglio dell’attività vulcanica può dunque dormire sonni tranquilli.

Balmuccia, peridotite

La seconda tappa dell’itinerario geologico valsesiano si trova a Balmuccia. Lungo il fiume sono ben visibili le peridotiti, le rocce che formano il mantello. Non è chiaro attraverso quale processo qui siano giunte in superficie.

I movimenti della crosta terrestre, che hanno determinato la formazione delle Alpi iniziata circa 60 milioni di anni fa, hanno ripiegato di quasi 90 gradi la zona che comprendeva anche il complesso vulcanico, già inattivo da parecchi milioni di anni, facendo risalire le sue parti più profonde. 
Così oggi, grazie a questo processo, risalendo dalla pianura fino a Balmuccia, in Valsesia, possiamo camminare sopra rocce che 280 milioni di anni fa stavano sotto il “Supervulcano” fino a profondità di almeno 25 chilometri.

Il Supervulcano è dunque definitivamente a riposo da molti milioni di anni e ci consente di scoprire ciò che non si era mai visto prima: le parti più profonde e nascoste del sistema di alimentazione.

Tutto questo è accaduto in un periodo molto molto lontano, compreso suppergiù fra i 290 e i 280 milioni di anni fa. Per farci un’idea della misura di questi tempi, supponiamo che la terra abbia avuto origine al primo minuto del 1° gennaio e l’oggi corrisponda a mezzanotte del 31 dicembre dello stesso anno. In questo modo 290 e 280 milioni di anni fa corrisponderebbero al 5 dicembre: allora i continenti erano uniti a formare un unico blocco, la Pangea, mentre le Alpi non esistevano ancora (si sarebbero formate solo il 22 dicembre); i rettili muovevano i loro primi passi sulle terre emerse, che erano già state ampiamente colonizzate da insetti e anfibi, e tra le felci facevano la loro apparizione le prime conifere. Noi esseri umani saremmo arrivati molto più tardi, ovvero pochi minuti prima della mezzanotte del 31 dicembre: i botti del vulcano però si erano già esauriti da tempo.

Gabbri foliati

Isola di Vocca: III tappa. Sono visibili i gabbri foliati, formati dal fuso basico e con una struttura simile a un plico di fogli.

 

UNA STORIA COMPLESSA

Il nostro pianeta è una specie di matrioska formata da tre parti contenute l’una nell’altra: la più esterna, cioè la crosta, la più interna, ovvero il nucleo, e quella intermedia, chiamata mantello. Fra 295 e 288 milioni di anni fa è cominciata una risalita di magma dal mantello, che si è insinuato nella parte più profonda della crosta. Successivi impulsi di materiale proveniente dal mantello hanno formato un grande complesso magmatico, la cui composizione chimica era diversa da quella delle rocce della crosta: era un magma cosiddetto “basico” e costituì le rocce di un’area denominata dai geologi “Complesso Mafico”.

A Crevola si trovano le kingiziti

Un’altra tappa dell’ itinerario geologico valsesiano porta a Crevola, dove si possono ammirare le kingiziti. Si tratta di rocce della crosta che in parte si erano fuse.

Giunti intorno ai 288 milioni di anni fa erano molti i processi in atto. Il magma basico interagiva con la crosta, erodendone mano a mano porzioni sempre meno superficiali e incorporandone i componenti. Contemporaneamente parte delle rocce della crosta fondeva per il calore trasmesso dal magma risalito, che stava raffreddando e iniziava a cristallizzare. Dalla parziale fusione della crosta ebbero origine fusi, cioè magmi, di composizione diversa (granitica) che si spostavano verso l’alto. Per circa 10 milioni di anni i fusi alimentarono l’accrescimento di masse di magma nella porzione meno profonda della crosta e determinarono la presenza di attività vulcanica sulla superficie terrestre.

Sia i magmi di origine mantellica, sia quelli derivati dalla fusione della crosta, erano magmi “ibridi”: il fuso basico proveniente dal mantello venne contaminato per l’interazione con la crosta; a loro volta, i fusi granitici derivanti dalla crosta furono contaminati dal materiale proveniente dal mantello.

I diversicolori della carta geologica indicano i vari tipi di roccia presenti nel luogo

Consultazione della carta geologica relativa al supervulcano.

A circa 280 milioni di anni dal presente, nella zona più profonda della crosta, il magma basico raffreddava formando una specie di “granita” magmatica (mush cristallino), costituita in parte da cristalli e in parte da materiale ancora fuso, un po’ come la consistenza delle granite che ci rinfrescano d’estate.

Poco più sopra, a contatto con la crosta, il materiale crostale stava in parte fondendo, mentre ancora più in alto i magmi granitici raffreddavano originando anch’essi una “granita” magmatica. Contemporaneamente, infine, aveva luogo l’attività vulcanica in superficie.

Agnona: penultima tappa dell'itinerario

Ad Agnona, penultima tappa dell’itinerario. Porzioni di roccia di diverso colore sono dovute al mescolamento e al raffreddamenteo di due magmi diversi. Si vedono graniti con dioriti intruse.

Poco tempo dopo,  circa 278 milioni di anni fa, ebbero luogo una violentissima eruzione e il collasso del sistema, con la formazione di una depressione, la caldera, di circa 13 km di diametro. Nel giro di pochissimo tempo-una settimana o forse un solo giorno- il tetto della camera magmatica crollò e vennero emesse centinaia di chilometri cubi di materiale piroclastico: uno dei più violenti eventi geologici conosciuti. Fu la risalita del materiale proveniente dal mantello a innescare tutta questa serie di avvenimenti, fino alla super-eruzione finale. Questo sistema è definito “Supervulcano” proprio in riferimento all’enorme quantità di materiale fuoriuscito, benché il termine non sia strettamente scientifico ma coniato dai conduttori di un programma scientifico della BBC.

In ogni caso la nostra sorprendente storia ha avuto davvero un finale col botto!

 

Tufo che ingloba litici

Ultima tappa dell’itinerario: siamo nlla caldera del vulcano, a Prato Sesia, dove un tempo è ricaduto il materiale eruttato dall’eruzione.

UNICO AL MONDO

L’affioramento di questo complesso è il solo caso al mondo di  una sezione di crosta terrestre che, grazie al ripiegamento subito durante l’orogenesi alpina, rende visibile tutte le strutture di un sistema vulcanico, da quelle in origine più profonde a quelle più superficiali.

Nel percorrere le nostre valli- ed esplorando le zone limitrofe- gli studiosi hanno l’opportunità unica di vedere dal vivo strutture altrimenti invisibili, integrando le conoscenze ottenute con studi sui fenomeni vulcanici attivi, che, pur compiuti con strumentazioni  all’avanguardia, permettono solo di modellizzare ciò che non si vede direttamente.

Proseguire le ricerche in questo campo permetterà di capire cosa realmente accade al di sotto di un vulcano attivo, nell’ottica della previsione di eventi potenzialmente catastrofici.

E per chi studioso non è, sarà comunque affascinante pensare alla storia del nostro territorio mentre percorre i suoi sentieri: una storia antichissima e incredibile, narrata da rocce che hanno visto sfilare milioni di anni e milioni di passi.

Testo e foto di Ilaria Selvaggio – Associazione “Supervulcano Valsesia”

 Prato Sesia: megabreccia

Ancora un’immagine della cosiddetta “megabreccia vulcanica” visibile a Prato,  lungo il fiume Sesia, dove troviamo inglobati  nel tufo diversi materilai litici. (Foto: archivio dell’Associazione)

Informazioni su iniziative relative al Supervulcano della Valsesia su http://www.supervulcano.it, il sito dell’Associazione geoturistica “Supervulcano Valsesia” Onlus.

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